Argentina, tra ansia e tristezza
Il 12 novembre 2016 vi parlammo della crisi dell’Argentina dopo la rovinosa sconfitta subita a Belo Horizonte contro gli storici rivali del Brasile. A poco meno di un anno di distanza da quel ko, non è cambiato nulla a livello di risultati per l’Albiceleste. Sampaoli ha preso il posto di Bauza sulla panchina, ma, ora come allora, quella che è considerata la squadra con gli attaccanti più forti del pianeta ha il secondo minor numero di reti segnate di tutto il girone sudamericano di qualificazione ai Mondiali: sedici, appena due in più della Bolivia e meno della metà di quelle del Brasile.
Tre allenatori (Martino, Bauza e Sampaoli) in due anni rappresentano il fallimento della dirigenza della AFA, incapace di creare un progetto e ora aggrappata alla speranza dell’ultima partita per evitare quello che sarebbe il fallimento più clamoroso della storia calcistica argentina. La mancanza di programmazione (quella intrapresa da Tite coi verdeoro per esempio) è lampante, con l’Argentina che è una squadra che non gioca, ma cerca di affidarsi, senza successo, alle giocate dei suoi campioni. Neanche la Bombonera è bastata per scacciare l’incubo, con il Perù che ha resistito fino alla fine conquistando un importantissimo 0-0. Anche l’Albirroja, che ha nelle proprie mani il destino per tornare ai Mondiali per la prima volta dal 1982, ha dato una lezione all’Argentina: Gareca, allenatore argentino, ha infatti saputo dare un’identità chiara alla sua squadra, proprio quella che manca alla Selección. E l’ex allenatore del Vélez non si è tirato indietro dal criticare quando gli è stato chiesto un parere sulle difficoltà della squadra del suo Paese natale.
Analizzando la decisiva partita impattata a reti bianche contro il Perù, resta sinceramente difficile capire come sia stato possibile lasciare in panchina si Dybala che Icardi dal primo minuto. È vero che Benedetto è in un momento di forma straordinario ed è abituato a segnare alla Bombonera, ma lanciarlo titolare nella partita più importante degli ultimi anni per l’Argentina ci è sembrato eccessivo. Ipotesi confermata dagli errori sotto porta mai fatti nelle ultime due stagioni con la maglia del Boca Juniors.
Complice l’infortunio di Gago, né Dybala né Icardi hanno fatto il loro ingresso in campo. Quanti avendo la possibilità di schierare un tridente con gli attaccanti di Juventus e Inter insieme a Messi (ventisette gol in tre finora sommando quelli fatti nei rispettivi campionati) in una partita da vincere a tutti i costi non lo avrebbero fatto? Pochi presupponiamo, forse nessuno. Anche perché una squadra con così tanta tecnica dovrebbe, a prescindere dai risultati, almeno divertirsi e far divertire. Invece l’impressione che lascia è quella di un gruppo triste e incapace di trasmettere emozioni positive.
Detto di quello che è stato, veniamo ora a quello che potrebbe essere. A novanta minuti dalla fine del girone di qualificazione, l’Argentina sarebbe fuori dal Mondiale in Russia. L’Albiceleste ha però in parte il proprio destino nelle sue mani. Complice lo “spareggio” in programma tra Perù e Colombia (quest’ultima suicidatasi incredibilmente nell’ultimo turno perdendo in casa contro il Paraguay subendo due reti negli ultimi cinque minuti dopo essere passata in vantaggio), la squadra di Sampaoli sa che vincendo in Ecuador sarebbe sicura di giocare lo spareggio contro la Nuova Zelanda. In caso invece di pareggio tra Perù e Colombia o di sconfitta del Brasile in Cile, l’Argentina sarebbe qualificata direttamente.
La domanda che attanaglia però tutto il popolo argentino è una sola: questa squadra riuscirà a battere l’Ecuador, squadra “capace” di perdere le ultime cinque partite giocate nel girone? Per farlo dovrà necessariamente segnare, cosa che viene maledettamente difficile a quest’Argentina contraddizione di sé stessa.