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Foto FB @GenoaCFC

Invidiamo, ma anche no, la nuova stellina del calcio italiano, al secolo Pietro Pellegri, sedici anni e mezzo, quattro presenze in Serie A con la bellezza di 3 reti messe a segno. L’invidia è sin troppo scontata, per chi, come noi e quasi tutti i lettori di questa testata, è cresciuto a pane e pallone, scorgendo tra le pieghe del mondo del calcio professionistico gli attributi d’un Empireo da sogno, un mondo (quasi) mitologico abitato da eroi puntualmente giovani e belli. Non tanto per l’ammirazione rosicona destinata a coloro i quali, nella vulgata popolare, lavorano poco o nulla, palleggiandosi invece tra modelle discoteche, ma proprio per l’aura gloriosa che avvolge, a mo’ degli eroi epici, gli sportivi più celebri e titolati.

Il ragazzone di Pegli non può, in questo senso, che impressionare: il 22 dicembre scorso, nella partita esterna giocata dal suo Genoa al cospetto del Torino, eguaglia il record di debuttante più giovane della storia del massimo campionato (15 anni e 280 giorni) detenuto del Amedeo Amadei (solo l’esistenza del Grande Torino limitò la carriera, azzurra e internazionale del fornaretto, 14° marcatore di sempre in A senza mai esser stato capocannoniere assoluto). Qualche mese dopo, il ligure classe 2001 si lascerà sfuggire, seppur non di molto, il primato quale più giovane ad aver segnato: è “ormai” del 28 maggio la partita in cui, dopo 3 minuti dalla palla al centro, sfruttando il rasoterra filtrante di Lazović, resiste alle sportellate di Manōlas e uccella di destro Szczęsny (vedere per credere); in tale data, Pietro ha “ormai” superato, coi suoi 16 anni e 72 giorni, i 15 anni più 287 giorni di Amadei e i 16 anni più 68 giorni d’un tale Gianni Rivera. Risultato: è costretto ad accomodarsi “soltanto” sul terzo gradino d’un podio tanto prestigioso.
Ieri, in occasione di Genoa-Lazio, il nuovo ruggito: al minuto 57, approfitta del pastrocchio firmato RaduDe Vrij per pareggiare lo 0-1; un quarto d’ora più tardi, con un pregevole gesto acrobatico devia il traversone di Zukanović e supera nuovamente l’eccepibile Strakosha, per il secondo, e solo momentaneo, pari del Grifone. Ecco servita, ad anni 16 e 112 giorni, la doppietta più verde nella storia del campionato tricolore.

Tutto Marassi saluta il nuovo principino, papà Marco (anch’egli un passato i rossoblù, fermatosi alla categoria Giovanissimi e ora team manager per scelta di Jurić) scoppia in lacrime quasi non credendo ai propri occhi, mentre gli appunti degli osservatori di mezza Europa tornano su questo nome che, già da qualche mese, fa parlare di sé. Si vocifera d’un tentativo estivo da parte dell’Inter, benché adesso pare che le sirene più insidiose siano quelle rossonere, sull’altra sponda del Naviglio. Ancor prima, il richiamo era giunto dalla perfida Albione, con il gran rifiuto che il ragazzo avrebbe opposto alle lusinghe del Manchester United.
Illazioni o meno, siamo sicuri che il metro e novanta (destinato ad aumentare, data l’anagrafe) di questo potenziale falso nueve con tecnica ragguardevole e ottimi tempi d’inserimento sia destinato ad animare i sogni di molte squadre.

Nondimeno, lo invidiamo, ma anche no.
Proviamo a spiegarci, persino a spiegarglielo: adesso, Pietro, viene il difficile, anzi, di più, il difficilissimo, e non lo diciamo da (potenziali) padri sulla via del rimbambimento senile (ci stiamo lavorando). Certo, i due primatini che hai colto non son roba da tutti i giorni, ma, rispetto a quanto ti aspetta, son (quasi) meno di niente.
Adesso non arriveranno soltanto i maneggioni a corteggiarti, al campo come allo stadio: quelli da tempo, e lo sai, ti hanno nel mirino, vedendo in te non un atleta, non un ragazzo, ma una sorta di bancomat in calzettoni, pronto, se tutto va bene, a sfornar quattrini su quattrini. Adesso, con la notorietà ben più durevole del warholiano quarto d’ora, arriveranno le fanciulle disponibili, gli amici facilissimi e il codazzo di sfigati (giornalisti inclusi) che altro non desidera e altro non può che viver di luce riflessa rispetto al nuovo fenomeno.

Arriveranno le parole, soprattutto, una montagna di parole, dette e scritte, stampate e registrate.
Da quelle dovrai difenderti, e farti difendere da chi, davvero, avrà a cuore la tua persona e, com’è pure giusto che sia, la tua carriera. Sta’ in guardia, quando sentirai dire Nuovo Ibrahimović, baby campione, con in mezzo ogni tipo di sfumatura, di superlativo, di paragone, di declinazione di presunta eccellenza.
Viviamo nell’epoca in cui si può dire tutto, e infatti lo si dice, a prescindere dalla verità o dal buon senso: non a caso, abbiam visto bollare miglior Under 21 della storia quella, niente male, laureatasi vicecampione d’Europa a giugno, e miglior Italbasket di sempre una nazionale ormai abituata a veder mondiali e olimpiadi in tv.

Ora viene il difficile, ma non impossibile, ti auguriamo, Pietro. La fase forse più cruciale e delicata della tua ancor brevissima carriera. Perché gli esempi dei Chicco Macheda o, ancor più in estremo, dei Freddy Adu dovranno esserti ben chiari dinanzi agli occhi. E non ti invidiamo, perché, pur non sapendolo per esperienza diretta (da velleitari mediani box-to-box d’infima qualità), abbiamo presente quanto sacrificio richieda, a un adolescente, il miraggio di una carriera d’alto professionismo, e quanta maturità serva per mantenersi a certi livelli.
Non t’invidiamo, perché in un mondo sempre più simile a un tritacarne che tutto consuma e poco o niente (anzi: niente, pensa alla cura Donnarumma cui abbiamo assistito nei mesi passati) rispetta, pure i calciatori, quei cavalieri senza macchia di cui un tempo avremmo voluto far parte, ci paiono sempre più alla stregua di meri ingranaggi, non così diversi da tutti gli altri, noi compresi, inconsapevoli o meno, polli d’allevamento.