NCAA FOOTBALL – L’ultima preghiera degli Alligatori
Non sempre una preghiera è sinonimo di buona riuscita; bisogna fare i conti con la congiunzione astrale, la forza dell’invocazione e la possibilità che il volume della richiesta possa non raggiungere l’interlocutore desiderato. Ma quando si prega, spesso e volentieri, i conti non si fanno, la testa si spegne e si inizia a sperare, con tutto il cuore. Può sembrare l’introduzione a una lezione di catechismo, poco adatta ad uno sport numerico, schematico e razionale come il football, ma esemplifica alla perfezione il concetto di Ave Maria con cui i Florida Gators (#24) battono i Tennessee Volunteers (#23).
Nel football l’Ave Maria (“Hail Mary” in inglese) viene usata per designare un lungo passaggio disperato con una probabilità di successo molto ridotta, effettuato solitamente in prossimità o alla fine del secondo o quarto quarto di gioco. L’espressione fu coniata nel 1975 al termine del playoff divisionale di NFL tra Dallas Cowboys e Minnesota Vikings; la partita fu vinta dai texani grazie a un lancio a tempo praticamente scaduto del quarterback Roger Staubach che in conferenza stampa commentò: “Chiusi i miei occhi e dissi un’Ave Maria“. Da questo retroscena la giocata prese il nome con cui passò alla storia.
Mancano pochi secondi alla fine dei sessanta minuti regolamentari e il risultato è di 20-20. Dopo tre quarti di sonnolenza, farciti con errori e giocate non trascendentali, la gara si infiamma nell’ultima parte: Tennessee, grazie al brio offensivo del running back John Kelly, ribalta la sconfitta ormai certa (dieci punti di svantaggio a cinque minuti dalla fine), marcando una meta e trascinando letteralmente i suoi nelle giocate successive che portano al pareggio. I Florida Gators, che dopo l’esordio negativo contro Michigan sono stati costretti allo stop dall’uragano Irma, non hanno però nessuna intenzione di giocare i supplementari e vogliono regalare la prima vittoria dell’anno al proprio pubblico.
Non sappiamo se Feleipe Frank, giovane quarterback degli Alligatori, e coach Jim McElwain siano uomini di chiesa; resta il fatto che nell’ultima giocata utile prima dello scadere la coppia decide di invocare il cielo: McElwain comanda dall’auricolare e Frank esegue, liberando l’ovale sul profondo con un missile a tutto braccio. L’Hail Mary trova coraggio sospinta dai 32mila del “Ben Hill Griffin Stadium” e riceve risposta nell’istante esatto in cui il pallone cade nelle braccia protese di Tyrie Cleveland: touchdown.
Dopo lo spavento di una vittoria quasi gettata alle ortiche, la “palude” (“The Swamp“, com’è chiamato la stadio dai tifosi) prorompe in un grido di gioia e in un’invasione pacifica di campo. Una montagna umana in divisa blu e arancio prima sovrasta l’autore della meta decisiva, poi corre ad abbracciare il proprio quarterback, mentre sugli spalti la banda da inizio ad una festa che proseguirà fra le vie di Gainsville fino all’alba. Onore ai Volunteers per averci creduto fino alla fine, ma quando una preghiera è sincera e genuina il miracolo è sempre possibile.