Una prova di forza, di compattezza e di alta caratura tecnica; sono questi gli elementi che permettono agli Oklahoma Sooners (#5) di sbancare l’Ohio Stadium. La prestazione collettiva dei ragazzi di coach Lincoln Riley rende di fatto effimero l’enorme potenziale offensivo dei Buckeye (#2), mettendo a nudo, in aggiunta, un comparto difensivo distratto, non all’altezza dei pronostici. Gli ospiti, sfavoriti in partenza, giocano un match al di sopra delle righe e dimostrano di meritare un posto fra le prime quattro della nazione.
Il quarterback di Oklahoma, Baker Mayfield, gioca l’ennesima partita quasi perfetta, chiudendo un referto personale che recita 27 lanci completati su 35, 386 yards conquistate e 3 touchdown; il lanciatore texano mette così la freccia e compie un notevole balzo in avanti nella corsa all’Heisman Trophy (premio assegnato annualmente al miglior giocatore di football universitario della stagione). Mayfield, la cui esperienza quadriennale regala una propensione al gioco sotto pressione, danza sulla linea offensiva, evita le incursioni dei difensori di Ohio State e si crea il tempo per giocare “con calma” sul profondo. La difesa poi, comandata dall’ispirato Ogbonnia Okoronkwo, ci mette del proprio, tenendo lontani gli avversari dalla propria linea di meta: il risultato è un secondo tempo dominato dai Sooners sotto tutti i punti di vista.
Il risultato finale, 31 a 16 per Oklahoma, è solo un numero che ne sancisce la vittoria. La vera impresa è l’aver annichilito nel proprio campus uno dei migliori programmi di football statunitensi. A fine gara la gioia dei giocatori è incontenibile. Nel settore dedicato alla banda e ai tifosi ospiti gli abbracci e le foto ricordo si sprecano, ma non possono competere con il gesto che lo stesso Mayfield decide di compiere: il giocatore simbolo dei Sooners “ruba” lo stendardo con il logo della propria università e corre lungo tutto la sideline avversaria, per terminare la progressione a centrocampo. Attorniato e incitato dai suoi compagni, Mayfield sventola la bandiera, per poi piantarla all’interno della “O” (effige di Ohio State, disegnata nel mezzo del terreno di gioco). Accolta dalla stampa come fuori luogo e offensiva, questa manifestazione di superiorità è la perfetta sintesi dello stato atletico e mentale di Oklahoma: dominante.
Nei box privati dello stadio c’era poi un tifoso Sooners d’eccezione: Bob Stoops (nativo, guarda caso, dell’Ohio) è stato capo allenatore di Oklahoma per diciassette stagioni e ha portato nella bacheca di Norman un titolo nazionale, dieci trofei di Big XII e nove Bowls. L’addio annunciato alla fine della scorsa stagione, sembrava dover porre fine al decennio di gloria dell’università, ma l’eredità consegnata a Lincoln Riley (per due anni assistente di Stoops) pare essere in buone mani. La felicità per lo storico risultato conseguito sul campo è culminata nel tunnel verso gli spogliatoi con il lungo abbraccio fra Riley e Stoops. Insperato per molti, il passaggio di testimone si sta rivelando un successo: il passato e il futuro di Oklahoma sono il migliore presente che potessero immaginare.