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Chris Froome – il corridore “normale” più vincente di sempre

Non è un’utopia, non più almeno. Vincere due grandi corse a tappe nello stesso anno è ancora possibile. Lo ha dimostrato il kenyano – naturalizzato britannico – Chris Froome. Domenica, sul traguardo di Madrid, la punta di diamante del Team Sky ha infatti potuto festeggiare la sua prima Vuelta a España: un successo cruciale che gli ha permesso di chiudere la doppietta Tour-Vuelta in questo storico 2017. Non accadeva dal 2008 con Alberto Contador che un corridore riuscisse a vincere due grandi giri nello stesso anno. Giro-Vuelta nel caso di El pistolero, mentre bisogna spingersi con Bernard Hinault addirittura fino al 1978 per ritrovare l’ultimo uomo in grado di realizzare la doppietta Tour-Vuelta. Accoppiata – tra le tre possibili – meno realizzata nella storia, almeno fino a ieri. A precedere Hinault – e adesso Froome – c’era riuscito infatti solo Jacques Anquetil nel 1963. Un altro risultato di prestigio del britannico classe 1985, da aggiungere a quei quattro successi alla Grande Boucle che già lo proiettavano nella storia alle spalle solo dei record assoluti di cinque vittorie ottenuti da Merckx, Indurain e ancora una volta Hinault e Anquetil.

Addio al romanticismo: il Team Sky e la rivoluzione

Una carriera che ormai lo catapulta palmarés alla mano tra i corridori più vincenti della storia del ciclismo. Eppure, nonostante i risultati lascino poco spazio a interpretazioni, il corridore britannico non sembra godere ancora di quello status di campionissimo. La critica mossagli spesso contro dagli appassionati è quella di non saper emozionare, di essere totalmente dipendente dalla squadra e – aggiungiamo noi – di non essere neanche così esteticamente “bello” nell’andare in bicicletta. Piccoli dettagli, finezze, ma nel concreto Chris Froome vanta già cinque grandi corse a tappe, al pari di tre eroi che hanno contribuito a rendere straordinaria la storia ciclistica dei nostri colori: Gino Bartali, Alfredo Binda e Felice Gimondi. Una reputazione da uomo più forte al mondo nelle grandi corse a tappe, costruita e forgiata anche e soprattutto grazie a quel Team Sky che a venticinque anni lo mise sotto contratto. Così da allora, Froome e la Sky hanno lavorato in sinergia reinventando il modo di fare ciclismo, perfezionando sempre più una strategia e una condotta di gara a cui nessuno sembra aver ancora trovato contromisura. Un ciclismo dove più nulla viene lasciato all’istinto dell’uomo e del campione,  in un’esibizione che ricorda una cronoscalata di squadra che si ripete copione dopo copione a ogni difficoltà altimetrica. Non è più necessario fare la corsa diretta sugli avversari, non serve più sprecare energie inutili nel replicare nell’immediato a un attacco subito. Il Team Sky non lascia nulla al caso: conosce i propri limiti, conosce il tempo minimo con cui Froome può scalare una salita e corre su quello, quasi indipendentemente dai movimenti avversari. Perdere la ruota di un rivale non è più un problema, ciò che conta in casa Sky è il tempo di percorrenza dell’intera ascesa, seguendo rigidamente un protocollo dettato da quel cardiofrequenzimetro posto sul manubrio della bici del britannico. La tecnologia applicata al ciclismo: è un computerino a decidere quando il tuo corpo è pronto ad accelerare o quando serve rallentare, non più la sensazione – spesso ingannevole – dell’uomo. Una tecnica che permette di evitare fuorigiri e finalizzata al risultato finale delle tre settimane, in un lavoro dove ogni minimo dettaglio viene pianificato, ogni minima energia centellinata: ciò che spendo adesso, lo pagherò dopo, ciò che spendo oggi, non lo avrò domani.

Che posto occupa Chris Froome nella storia?

Una domanda che tutti gli appassionati si sono probabilmente già posti, vedendo il britannico anno dopo anno fare scorte di Grande Boucle. Difficile dare una risposta, e ancor più difficile – mettiamo già le mani avanti – riuscire a mettere tutti d’accordo.  La prima considerazione da fare è che non è possibile giudicare Chris Froome senza fare riferimento al Team Sky. Da ormai sette anni con la casacca della squadra di ciclismo più famosa del mondo, le uniche esperienze extra Sky (salvo i primissimi anni di carriera) per Chris Froome sono infatti solo quelle con la nazionale britannica: prove dove Froome ha comunque collezionato 2 bronzi olimpici nelle prove a cronometro di Londra 2012 e Rio 2016. Come detto è però con la squadra di club (copiando un’espressione calcistica) che l’uomo di Nairobi dà il meglio di sé. Lo potremmo definire “la persona giusta nella squadra giusta”: non credete infatti nella falsa credenza che tutti (o meglio tanti) potrebbero prendere il posto del britannico. La condotta di gara del Team Sky è infatti possibile grazie a un capitano passista-scalatore dal motore straordinario in grado di reggere certe azioni prolungate. Lavoro riuscito prima con Wiggins e poi sposatosi perfettamente con le caratteristiche di Chris Froome. Scalatori eccezionali del calibro di Quintana, Mikel Landa e Romain Bardet – amanti dei cambi di ritmo – non si adatterebbero, con la stessa efficacia di Froome, alla strategia Sky. Veniamo allora al dunque, se proprio costretti, come potremmo etichettare Chris Froome? Non è un fenomeno, almeno non da poter essere inquadrato individualmente in quella cerchia ristretta dei migliori di sempre. Manca di quella scintilla, di quell’estro da cui il campionissimo non può prescindere. Quell’attacco in discesa giù dal Peyresourde al Tour 2016 è stato sì sensazionale, ma tanto proclamato proprio perché prima di allora (e confermiamo anche dopo) Froome non aveva mai mostrato nulla del genere. Chris Froome è un ottimo corridore, completo: forte in salita, eccellente a cronometro, abile in discesa e con una mentalità – questa sì – da fuoriclasse. Un “non fenomeno” diventato però negli anni uno dei ciclisti più vincenti di sempre nelle grandi corse a tappe, in uno dei binomi corridore-squadra più affini e più vittoriosi della storia.