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Al via domani il Pro 14 di rugby, ex pro 12.
La novità non riguarda solo il nome e va oltre un allargamento pure lecito da 12 a 14 partecipante, ma espande il più internazionale dei campionati su una dimensione…Continentale.
2 franchigie sudafricane raggiungeranno il resto della ciurma ex ‘celtica’ (Zebre e Treviso compresi) in un torneo che negli ultimi anni ha sofferto nel confronto tecnico e mediatico con la Premiership inglese e il Top 14 francese, ma che non ha avuto paura di pensare al cambiamento (si è parlato per anni di accogliere qualche squadra nordamericana) e di attuarlo con l’ingresso di Cheetahs e Southern Kings.

I club di Bloemfontein e Port Elizabeth provengono dal Super Rugby, la lega internazionale che raccoglie il meglio di Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda, con la recente aggiunta di una rappresentante a testa per Giappone e Argentina. L’implosione del torneo, in crisi di appeal e presenze allo stadio, insieme al dislivello interno in regular season, ne ha decretato di fatto un restyling che sa di ridimensionamento. E non sono mancate le polemiche, per esempio in Australia, dove il rugby union ha rinunciato al suo avamposto a Perth, in piena Australia occidentale: il distacco tra movimento di base e franchigie del rugby professionale è palese a certe latitudini e l’intero movimento vive questa fase di transizione non senza una certa ansia.

Se è impossibile dunque slegare la questione Pro 12-14 da quella della South African Rugby Union, la speranza è che questa riforma porti all’ovale europea una bella ventata d’aria fresca. Col 6 Nazioni stagnante per la non competitività dell’Italia e la chance non data alla Georgia, avere i club scozzesi, gallesi, irlandesi e italiani in trasferta nella terra degli Springboks non può che aumentare l’interesse per il torneo, oltre a dare nuova esperienza ad alti livelli ai giocatori coinvolti.

Se è vero che Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, e non sa quel che trova, è innegabile che al rugby del Vecchio Continente servisse una scossa.
A livello sportivo, commerciale e televisivo, l’arrivo dei sudafricani – che di rugby vivono – può essere la mossa giusta.
Ai posteri l’ardua sentenza.