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La rinascita del Tigre

Mi innamorai calcisticamente di Radamel Falcao García Zárate il 7 ottobre del 2007. Quella domenica era in programma al Monumental il Superclásico tra River Plate e Boca Juniors valido per l’Apertura. I Millonarios si presentavano all’appuntamento a metà classifica, con ormai come unico vero obiettivo stagionale battere i rivali di sempre. Quello che andò in scena a Nuñez fu un vero e proprio “baile”, con i gialloblù dominati dal primo all’ultimo minuto. Finì 2-0 per il River, con reti di un giovane attaccante e di un Ortega capace di disegnare calcio realmente per una delle ultime volte. Ma torniamo al gol dell’1-0, segnato da un ventunenne colombiano di Santa Marta cresciuto però nelle giovanili del River. Dopo aver colpito una traversa con un gran colpo di testa, Falcao castigò gli avversari sfruttando un assist di Belluschi. Quello che mi impressionò immediatamente fu l’aggressività in area di questo giocatore, capace di sfruttare al massimo ogni millimetro concessogli dai difensori per rendersi pericoloso e di segnare con freddezza alla prima occasione buona. Quando scoprii il suo soprannome poi ecco che diventò immediatamente un nuovo idolo: El Tigre.

Con la maglia del River Plate vincerà il Clausura 2008 sotto la guida di Diego Simeone, allenatore a cui sarà legatissimo come vedremo più avanti, prima di lasciare il Sud America per approdare al Porto. Ero sicuro che avrebbe fatto benissimo anche fuori dall’Argentina con le sue doti, ma l’impatto con l’Europa è semplicemente mostruoso: segna in qualsiasi modo e in qualsiasi partita. Per le difese avversarie è incontenibile, non sanno come fermarlo perché riesce sempre a leggere in anticipo cosa succederà. Falcao segna 72 gol in 87 partite con i lusitani, numeri clamorosi. E poi è sempre decisivo, in tutte le finali che gioca: va in rete nella finale si Supercoppa di Portogallo, fa quattro gol nel 5-1 con cui il Porto spazza via il Villarreal nella semifinale di andata di Europa League e poi decide la finale contro il Braga. Ad agosto Simeone decide che è arrivato il momento di tornare ad allenare il Tigre e sceglie lui per sostituire Fernando Torres nel suo Atlético Madrid.

Anche l’Europa ormai ha conosciuto quell’attaccante colombiano capace di folgorarmi in quel Superclásico. Resta il rimpianto di non vederlo protagonista in Champions League (dopo averla solo “assaggiata” nel primo anno col Porto), ma resto convinto del fatto che sarà un appuntamento rinviato solo di poco. Coi Colchoneros conferma quanto fatto fino a quel momento: 24 gol in Liga, doppietta in finale di Europa League e tripletta in Supercoppa Europea. L’anno dopo l’Atlético si qualifica per la Champions, tutto sembra pronto per il grande salto. Ma ecco che il Monaco si presenta con sessanta milioni di euro per strappare il Tigre al Cholo. Nella mia testa credo che rifiuterà, non può lasciare così. Ma mi sbaglio: Falcao accetta l’offerta e vola nel Principato.

Come se fossi collegato in qualche modo a lui per averlo visto crescere, ho un brutto presentimento. Purtroppo confermato. Al Monaco è l’ombra del giocatore devastante ammirato finora. È però a nel gennaio del 2014 che accade il disastro: si rompe il legamento crociato, infortunio che lo costringerà a saltare i Mondiali del 2014, un colpo durissimo per lui. Fisicamente e mentalmente. Nei due anni successivi va infatti prima al Manchester United e poi al Chelsea. Saranno i due anni peggiori della sua carriera. Il Tigre è irriconoscibile, non gli riesce più nulla. Temo il peggio: come successo ad altri prima di lui, l’infortunio potrebbe aver messo fine alla sua carriera. Che il destino l’abbia punito per aver preferito in quell’estate del 2013 i soldi del Monaco alla gloria eterna nell’Atletico Madrid?

Nel 2016 però, quando rientra dal prestito al Chelsea, a Montecarlo trova un nuovo allenatore: Leonardo Jardim. Sarà l’uomo che riuscirà a dargli una seconda carriera. In area torna letale come ai bei tempi e, sopratutto, torna a essere decisivo. Il Monaco infatti vince il campionato francese per la prima volta dopo sedici anni e questo grazie anche ai suoi gol: 21 in 29 presenze. Arriva finalmente anche la tanto attesa esplosione in Champions League: 7 reti in 9 partite, tra cui una doppietta all’Etihad contro il Manchester City. I monegaschi arriveranno fino a un incredibile semifinale.

Ho ormai finalmente ritrovato l’attaccante colombiano che conoscevo, consapevole che a trentun anni ha ancora molto da dare dopo i due anni “maledetti” persi. Qualcuno poteva pensare però che il livello non potesse ancora salire, mai però credere che Falcao non possa migliorarsi. La Ligue 1 2017/2018 parte infatti così: quattro vittorie su quattro, ma sopratutto sette gol all’attivo per il nuovo capitano biancorosso. Tra questi degni di nota in particolare tre colpi di testa con stacco e tempismo perfetto e un destro a giro dal limite dell’area.

La forma ritrovata alla grande ha fatto tornare anche la cattiveria agonistica che si era come sopita all’interno del Tigre, tornato a ruggire più forte che mai. Resto comunque convinto che, se fosse rimasto all’Atlético Madrid, i Colchoneros avrebbero vinto la Champions League grazie alla sua capacità di essere letale nelle finali. Un rimpianto però compensato dal fatto di poter tornare a vedere, esattamente dieci anni dopo che ebbi la fortuna di vederlo all’opera in quel Superclásico, una delle prime punte più forti dell’ultimo decennio. Dopo aver seriamente rischiato di perderlo definitivamente, ora manca solo una cosa per completare il percorso interrotto da quel nefasto infortunio: giocare i Mondiali del 2018. E sicuramente Falcao farà di tutto per portare la “sua” Colombia in Russia.