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Allsvenskan: solo un cataclisma può togliere il titolo al Malmö

Durante la conferenza stampa di presentazione, con Alexander Gerndt, nuovo giocatore del Lugano, svedese e con un passato nell’Helsingborg, abbiamo parlato anche di Allsvenskan. Ci ha detto che segue con attenzione il massimo campionato del suo Paese e quindi, considerata la frequenza delle nostre visite in Ticino, ci auguriamo di poterne parlare, con lui, ancora spesso in futuro. Alexander ci ha detto una cosa tutto sommato scontata, vale a dire che in Svezia, oggi come oggi, esiste il Malmö (impegnato, stasera, nell’anticipo della 19/a giornata contro un Kalmar in grande forma), e poi c’è tutto il resto.

Certo, non è facile spiegare cosa sia accaduto, alla squadra biancoceleste, per venire eliminata subito al primo turno preliminare di Champions da una squadra tutto sommato modesta (è caduta subito dopo). Questa prova fallimentare, accolta anche in Svezia dalla stampa con stupore, poteva creare qualche problema alla società, visti i mancati introiti UEFA: ma la risposta degli Himmelsblått sul mercato (presi Dalhin e, soprattutto, Carlos Strandberg) è stata un chiaro segnale: qua non si smobilita, e si guarda già alla prossima stagione.

La partita di ieri dell’AIK, che sembrava essere l’unica (con tutte le cautele del caso) rivale dei campioni in carica, ha rivelato invece che agli Gnaget manca ancora qualcosa per poter competere a questi livelli. E la differenza sta tutta lì: il Malmö, in 10 uomini, ha battuto in trasferta il Djurgården, mentre la squadra di Solna, pur dominando la partita, è uscita da Göteborg con un pugno di mosche in mano. Certo, vanno bene le recriminazioni sull’arbitraggio (il gol del pareggio di Goitom era probabilmente regolare), ma ieri bisognava vincere per provare, almeno, a mettere un po’ di apprensione alla corazzata di Scania.

Le cose invece sono andate diversamente: tante occasioni sbagliate sullo 0-1, mancanza della concentrazione necessaria a mettere a segno altre reti e, in più, due distrazioni difensive che hanno messo gli increduli Blåvitt nelle condizioni di rientrare in partita prima, e di vincerla poi. Mancano ancora due mesi e mezzo alla fine del campionato: ma la partita di ieri e, in generale, quelle del fine settimana, sembrano aver davvero chiuso il discorso.

La cosa che invece salta all’occhio è il sostanziale equilibrio fra quasi tutte le altre squadre: tra l’AIK secondo e l’Örebro undicesimo ci sono, in fondo, solo sette lunghezze, vale a dire poco più della metà di quelle che ci sono tra la prima e la seconda. Insomma, se non ci fossero i biancocelesti, il campionato svedese sarebbe davvero avvincente: e la prova è che, due stagioni fa, con i campioni in carica assorbiti nelle quaificazioni per la fase a giorni della Champions League, la lotta per la vittoria finale coinvolse sei squadre sino a poco più di un mese alla fine del campionato, con 3 compagini in bilico sino all’ultima giornata per la vittoria finale.

Di sicuro, la squadra di Scania, al di là della potenza economica, è sicuramente il club più mediatizzato di Svezia e quello, probabilmente, più attento alle esigenze anche della stampa estera (ne abbiamo avuto la prova concreta in questi anni). Con questo, non è che non si tenti di fare qualcosa per contrastarne il dominio in patria: quest’anno il Djurgården, per esempio, ha provato a costruire un progetto (e infatti si trova nelle posizioni nobili della graduatoria): però, per battere i giganti di Scania, manca sempre qualcosa, soprattutto a livello di mentalità e, soprattutto, di continuità di risultati.

Il calcio, in Svezia, è tutto sommato in un momento positivo: quasi tutte le squadre sono dotate di impianti all’avanguardia, il pubblico viene allo stadio, soprattutto nei grandi centri urbani, e la violenza negli stadi quest’anno (dopo i gravi episodi della passata stagione, con partite sospese per lanci di oggetti e invasioni di campo) sembra essere contenuta (rare anche le interruzioni di incontri per i problemi dovuti ai fumogeni).

Mancano, per ora, i grandi capitali stranieri: la Svezia è terra di conquista per gli emissari dei cosiddetti big 5 (soprattutto dall’Inghilterra), che importano i talentini che ogni tanto sboccano a queste latitudini, a cifre impensabili per la maggior parte dei club locali. Questo fatto è positivo per il sistema, che incassa il denaro necessario per poter continuare a far crescere giovani interessanti, ma impoverisce tecnicamente il movimento: insomma, storie come quelle del Göteborg di trent’anni fa, capace di aggiudicarsi la Coppa UEFA, oggi appaiono impensabili. E, almeno per ora, non si vedono all’orizzonte inversioni di tendenza.