Editoriali

Apatia da “calcio finto”

La fine di luglio è forse il momento più duro di tutti, per un appassionato di calcio. Ancora un mese scarso alla ripartenza della Serie A, altri trenta/quaranta giorni alla fine dello stillicidio comunemente noto come “calciomercato”, le prime – incerte – amichevoli di prestigio o, per i più fortunati, i turni preliminari dei preliminari dei preliminari contro squadre dalla dubbia provenienza: tutti meri palliativi. A fine luglio, a quasi due mesi dalla fine della stagione, non c’è International Champions Cup de noantri che tenga: il calciofilo ha bisogno di pallone vero.

Però non ce n’è quasi e dunque bisogna ripiegare sui tornei amichevoli iper-pretenziosi che vanno di stramoda adesso (ma solo perché pagano bene). Tocca sorbirsi un più o meno finto clásico tra un Barcellona imbottito di canterani che procede a due all’ora e un Real Madrid composto al 70% da minorenni dediti alle rulete o, magari, un Chelsea che schiera solo riserve che affronta delle formazioni sperimentali di PSG, Inter o Juventus.

Ma comunque non si riesce a far salire i giri della passione più di un tot. È tutto troppo edulcorato e, alla fine, l’apatia da “calcio finto” prende il sopravvento assieme alla palpebra cadente, perlomeno il più delle volte. Non c’è nerbo, non c’è grande agone, non c’è tensione e le formazioni di solito prive di diversi titolari, solitamente anche molto molto importanti, sono appunto un minus per l’attenzione dell’astante.

L’appassionato si arrabatta dunque con quel che resta, si informa persino sui turni di qualificazione alle coppe pur sapendo che non possono essere in alcun modo soddisfacenti. Spuntano scene degne della commedia italiana anni 70, con schiere di novelli vampiri assetati di sangue alla disperata ricerca di partite vere, di solito attraverso streaming illegali da sfruttare con la desolante connessione della casa al mare dei suoceri o impazzendo dietro ai decoder delle villette in affitto in montagna, i quali possono garantire la visione della partita solo infilandoci dentro forchette (coltelli, per i più esperti) inclinate a 37 gradi e 59 primi.

Ma l’unica verità è che al calciofilo manca il calcio vero e persino le supercoppe estive o gli ultimi preliminari di Champions – per quanto appuntamenti competitivi e talvolta fondamentali per una stagione – non riescono a lenire quel vuoto immenso che la mancanza di campionato e coppe genera. Riprendendo la metafora del vampiro di cui sopra, il calcio estivo non è sangue ma solo succo di pomodoro. È buono soprattutto per gli allenatori (a volte nemmeno loro) e per dare giudizi sommari su questo o quel giocatore che si scioglieranno come i ghiacci delle pianure col primo, pallido sole di metà marzo.

Non può bastare.

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Giorgio Crico