Sabato, alle 19.00, coi due anticipi in contemporanea a Berna (Young Boys-Basilea) e a Losanna (Losanna-San Gallo), prenderà il via la Raiffeisen Super League svizzera, giunta quest’anno alla 121/a edizione. Pur non essendo il più antico in assoluto, quello elvetico è il torneo di calcio mondiale che vanta il maggior numero di edizioni consecutive senza soluzione di continuità (il campionato olandese ha al suo attivo 128 edizioni, ma fu interrotto per motivi bellici): la neutralità elvetica, nel corso dei due conflitti mondiali, permise, infatti, di disputare il campionato di calcio (pur chiamandolo, nel periodo bellico, Campionato Nazionale svizzero di Mobilitazione), mentre gli omologhi, altrove nel resto d’Europa, furono invece sospesi, a causa delle due guerre mondiali. Aggiungiamo, inoltre, che in Svizzera si gioca a football in modo organizzato dal XIX secolo (la prima stagione, anche se ufficiosa, è datata 1897/98).
All’epoca, infatti, la già esistente Association Suisse de Football era contraria a organizzare un campionato nazionale di calcio, data la difficoltà di spostamento delle squadre sul territorio nazionale, dovuta alla mancanza di mezzi finanziari adeguati. Fu un giornale della Svizzera Romanda, “La Suisse sportive”, a rompere gli indugi, organizzando un torneo a eliminazione diretta, che vide affermarsi il Grasshopper (fondato nel 1886, un decennio prima del Genoa in Italia) di Zurigo. L’anno successivo, l’ASF prese in mano l’organizzazione del torneo, che assunse quindi i crismi dell’ufficialità, proseguendo, ininterrotto, sino ai giorni nostri.
Ma, a oggi, qual’è il ruolo della Super League svizzera in Europa? Quali le prospettive del torneo, in patria e oltre confine? È indubbio che quello elvetico sia un torneo di fascia inferiore rispetto a quelli dei grandi Paesi europei; forse, tecnicamente, è anche un gradino più sotto di altri campionati di seconda fascia che la nostra testata segue con puntualità (Portogallo, Belgio e Olanda, ad esempio). Tuttavia, a favore del sistema (che pure soffre la concorrenza dell’Hockey su ghiaccio, molto popolare in Svizzera) c’è una Lega (la SFL – Swiss Football League) che lavora bene, molto attenta alle esigenze della stampa nonché alla promozione, compresa quella all’estero, del sistema calcio elvetico: le immagini della Super League vengono, infatti, vendute in diversi Paesi, anche extraeuropei.
Il ruolo del campionato svizzero è, in via principale, quello di favorire la crescita dei giovani (soprattutto locali), valorizzandoli e consentendo loro di spiccare il volo verso i grandi tornei continentali (i cosiddetti Big 5). Questa politica ha due benefici: il primo, quello di creare una generazione di calciatori validi in ottica di crescita della squadra nazionale (la quale, infatti, negli ultimi anni, ha ottenuto ottimi risultati, centrando la qualificazione alle grandi manifestazioni internazionali); il secondo, quello di garantire alle società un plusvalore, indispensabile al mantenimento in vita delle medesime, che si reggono sulle proprie forze (ricavi diretti, merchandising, sponsor e diritti televisivi). Gli azionisti di riferimento, infatti, non amano rifinanziare i club con le proprie risorse economiche.
Per avere un’idea di questo fenomeno, possono bastare delle cifre: il numero dei giocatori cresciuti in Svizzera, presenti nei cinque maggiori campionati europei (Inghilterra, Germania, Francia, Spagna e Italia) è piuttosto elevato. Sono 48 i giocatori, attualmente in attività, passati dalla Super League al Big 5. In questa particolare classifica, la Svizzera si colloca 5° posto, assieme al Belgio.
Per garantire continuità a questa politica, si lavora molto sui vivai e sulla ricerca di talentini nei campetti nascosti dei piccoli villaggi: la percentuale di giocatori cresciuti nei club e fatti esordire in Prima squadra ha raggiunto il suo picco nel 2013 (29,6%), anche se ora è in diminuzione. Dal 1° ottobre 2016, questa categoria costituisce il 21,5% del parco giocatori nella Raiffeisen Super League. Per avere un’idea dell’importanza del fenomeno, basta fare dei confronti coi 5 maggiori campionati continentali: la percentuale è due volte superiore all’Inghilterra (10,0%) e all‘Italia (10,9%). La Francia è invece più virtuosa (23,5%), oltre, naturalmente, alla Spagna (24,1%), Paese canterano per eccellenza.
Altro aspetto che conferma questa tendenza è l’età media delle rose dei giocatori: tra il 1° luglio e il 31 dicembre 2016, questo dato, riferito ai giocatori messi in campo dai club del massimo campionato svizzero è stato di 26,1 anni contro i 26,7 della media complessiva europea, (compresi, quindi, anche altri campionati dove questa politica viene perseguita, come quelli balcanici, dell’Est e della Scandinavia, per esempio), collocando il torneo rossocrociato al 7° posto in questa classifica (l’Italia è al 25° posto con una media di 26,7 anni – tutti i dati sono di CIES Football Observatory).
In controtendenza l’aumento degli stranieri venuti a giocare in Svizzera, in aumento per il terzo anno consecutivo (segnale, però, di maggiori possibilità economiche). Vi sono, tuttavia, realtà come quella di Thun, dove sono stati schierati ben 10 giocatori di cittadinanza (o formazione calcistica) svizzera.
Ma c’è una cosa che manca, nella storia calcistica rossocrociata: un fuoriclasse vero e proprio. Di buoni giocatori ce ne sono stati (e ce ne sono) tanti, ma l’uomo da Pallone d’Oro, il fenomeno da leggenda, in Svizzera non è mai venuto fuori. Eppure, il movimento è solido e di tradizione. Ora, con tanti svizzeri naturalizzati o di seconda generazione, potrebbe essere più semplice. La Nati sta crescendo parecchio, in termini di continuità di risultati e mentalità: e questo, a nostro parere, è il primo gradino. Insomma, il prossimo decennio potrebbe essere quello dell’Ibrahimović elvetico.
Quello, invece, di svolta del calcio svizzero è stato tra il 2000 e il 2010, ed è culminato con l’organizzazione, nel 2008, della fase finale dei campionati europei (in collaborazione con l’Austria, sull’esempio di quanto avvenuto nel 2000 con Belgio e Olanda: una formula che è stata utilizzata anche lo scorso anno in Polonia e Ucraina). Il paese rossocrociato iniziò infatti, in questo decennio, una politica di rinnovo degli impianti di gioco. Il primo stadio di nuova generazione fu il St-Jacob Park di Basilea, costruito nel 2001 e ristrutturato nel 2007, al quale fecero seguito lo Stade de Genève nel 2003, lo Stade de Suisse (costruito sulle rovine del leggendario Wankdorf di Berna – lo stadio della finale mondale del 1954 -nel 2005), la ristrutturazione del Letzigrund di Zurigo, impianto conosciuto in tutto il mondo per l’atletica leggera, il quale ora ospita entrambe le compagini tigurine (il GCZ giocava, infatti, nello storico Hardturm), avvenuta nel 2007.
Oltre a questi impianti, utilizzati per Euro2008, sorsero, negli anni successivi, altri stadi, a capienza più limitata, ma moderni e confortevoli per pubblico e addetti ai lavori: la swissporarena di Lucerna (2011), il kybunpark a San Gallo (2008), la Stockhorn Arena di Thun (2011), per citare solo gli impianti utilizzati nella massima serie. Da qualche settimana sono iniziati i lavori per un nuovo stadio a Losanna e si parla, da tempo, di una nuova casa, in Ticino, per il Lugano. Si punta, quindi, su impianti polifunzionali, sovente collegati con centri commerciali, per attirare il pubblico: queste strutture sono in genere dotate di ristoranti con vista sul campo, servizi vari, e hanno tutti posti numerati, coperti e a sedere.
La formula attuale, quasi unica nel suo genere (10 squadre partecipanti, girone unico all’italiana, 4 partite – due in casa e due in trasferta – contro ogni avversaria, una sola retrocessione), è in vigore dalla stagione 2003/04 per la massima serie. In precedenza (tra il 1976 e il 2003), la Lega Nazionale A era composta da un numero variabile tra le 12 e le 16 squadre (con 2 partite – andata e ritorno – tra le compagini iscritte). Ciò consentiva, per esempio, la partecipazione di alcuni club storici (e con importanti bacini d’utenza come, per esempio, il Servette di Ginevra) alla massima serie.
Dal punto di vista agonistico, il torneo elvetico soffre del gigantismo del Basilea, il quale può usufruire, con continuità, degli introiti UEFA, dovuti alle sue partecipazioni alle competizioni europee. Se il cammino europeo dei renani (e, viceversa, il suo calo nelle ultime tre stagioni) ha influito in modo determinante alla posizione elvetica nel ranking europeo, al contrario, la prevedibilità del risultato finale, riguardo alla prima posizione (ormai i rossoblù sono all’ottavo titolo consecutivo), rischia di influire pesantemente sull’interesse dei tifosi. La scorsa stagione, dagli abituali quasi 2.000.000 totali (normalmente tra il 1.900.000 e 1.950.000), si è scesi a poco più di 1.700.000.
C’è anche da dire che lo Zurigo, che ha una tifoseria piuttosto appassionata, che segue in un buon numero i suoi beniamini anche in trasferta, lo scorso anno era tra i cadetti: probabilmente, all’appello mancano proprio i tifosi biancoblù, non sostituiti in modo adeguato da quelli del Losanna. Però, è un segnale da non sottovalutare, così come desta attenzione il fatto che, praticamente in ogni stagione, uno dei 20 club professionistici (Super League e Challenge League) salta per motivi finanziari. Contro il fenomeno delle scommesse dei calciatori, così come contro il tifo violento, sono invece attivi da tempo dei programmi di prevenzione, tutto sommato abbastanza efficaci.
In conclusione, il campionato svizzero ha delle potenzialità di crescita tecnica: tuttavia, dovrebbe forse cambiare formula. A nostro parere, potrebbe essere una buona idea aumentare il numero delle squadre partecipanti, riducendo le partite da 4 a 2, e introducendo i playoff finali, con gara secca in casa della prima estratta del sorteggio, sul modello della Coppa, garantendo però l’accesso in Europa (a parte la squadra campione) sulla base dei risultati della stagione regolare. Sappiamo che la SFL sta facendo delle valutazioni in tal senso: staremo a vedere cosa riserverà il futuro agli appassionati di oltre confine.