Sono sempre rimasto perplesso dalla teoria del caos, che nel 2004 portò incredibili dividendi al film “The butterfly effect”. La classica farfalla che sbatte le ali a Milano e genera un uragano a Tokio mi è sembrata sempre sopravvalutata.
Poi sono andato all’Italian Bowl, finale del campionato italiano di football.
A Vicenza era atteso un ospite speciale: Calvin Johnson, stella NFL dei Detroit Lions. E in effetti venerdì 8 luglio era già lì, in sala stampa con qualche giornalista e i rappresentanti della FIDAF, la federazione italiana, per rispondere a una serie di domande in una conferenza organizzata a priori.
Arriva la domanda: “Marshawn Lynch è tornato a giocare, cosa ne pensi?”
Johnson si è ritirato a soli 30 anni, domanda più che lecita.
Il campione da Georgia Tech risponde che i Raiders (la nuova squadra di Lynch) hanno buone possibilità di vittoria, che lui non avrebbe avuto ai Lions.
Allora, un paio di minuti più tardi, saggiamente, arriva qualcosa che stuzzica ancora di più il sassolino nella scarpa del ricevitore: “Hai mai voluto lasciare Detroit e giocare in un’altra squadra?”
Johnson, seguendo un copione disarmante che sembra essersi scritto prima di atterrare in Italia, rincara la dose: non avrebbe mai vinto a Detroit, ma era ingabbiato nel suo contratto e la squadra del Michigan non voleva tagliarlo o scambiarlo. Per quello si è ritirato.
Ecco, la farfalla che sbatte la ali a Vicenza aizza le acque del lago Michigan, e investe Detroit con uno tsunami di polemiche e cuori tifosi infranti. ESPN riprende la notizia e addirittura include nel suo articolo la totalità dell’intervista, filmata dalle telecamere del canale streaming FIDAFTV. 209 commenti mentre vi scrivo, destinati a salire con i tifosi Lions divisi a metà tra chi accusa la società di non avere ambizione e chi imputa allo stesso Johnson di essere scappato coi soldi di un contratto clamoroso e avere abbandonato la nave.
Ho avuto la possibilità di parlare con Calvin Johnson in quei giorni. Non è stupido, e questo si sapeva, ma più d’ogni altra cosa non fa nulla per caso. No, signori, qui la teoria del caos non è nemmeno da prendere in considerazione.
Johnson non fa nulla senza che il suo agente, che lo accompagna costantemente, non gli dica di farlo. Un cenno della testa, e uno dei primi cinque migliori ricevitori di sempre esegue. Come uno schema sul campo. E volete che non abbiano parlato di una domanda forse non ovvia, ma con un’alta probabilità di essere fatta?
Nel 2017 Google sa quante volte starnutiamo al giorno e un professionista non sa che un’intervista in Italia potrebbe essere trasmessa in America? No, qui il farfallone di due metri e 110 chili l’ha fatto apposta, ben conscio del piccolo terremoto che avrebbe scatenato a 10000 chilometri di distanza.
Non è quindi interessante stupirsi, ma capire. Comprendere perché un giocatore ritirato debba dire una cosa del genere della sua sola squadra da professionista. Potremmo addirittura cadere nel fantastico mondo della dietrologia. Johnson vuole tornare a giocare? Vuole farsi licenziare dai Lions (che ancora l’hanno sotto contratto) per andare da un’altra parte e vincere il Super Bowl? Perché, veramente, è venuto a fare il padrino dell’Italian Bowl?
In definitiva, etichettare come scivolone e con la teoria del caos quanto successo ci sembra da dilettanti, o da falsi. Per quanto valga, avevo ragione: teoria sopravvalutata. Quantomeno nell’ambiente sportivo a stelle e strisce, è ormai impossibile aspettarsi che uno sportivo faccia una gaffe fuori dal campo che porti a conseguenze ovvie.
Il pubblico di Vicenza l’ha capito, o almeno ha tutti gli elementi per farlo. Non bisogna ragionare sull’uragano in Giappone, ma sul battito d’ali a Milano. Perché avviene e con quale scopo. Consci che il farfallone sa benissimo quello che sta facendo.