Continua la guerra tra FIBA, Eurolega e club.
L’oggetto del contendere è il nuovo format delle partite tra nazionali, con le finestre di qualificazione previste nel pieno della stagione e non in estate, come visto negli ultimi decenni. Una formula che avvicinerebbe la pallacanestro al calcio e ad altri sport, ma di difficile realizzazione: la NBA – le cui franchigie sono i datori di lavoro di tantissimi nazionali europei – difficilmente concederà ai giocatori pause dal suo fitto calendario (82 partite più playoff), né farà di più l’Eurolega.
La massima competizione del vecchio continente infatti è ormai un organismo autonomo, privato e indipendente. E pare avere molto più potere della federazione internazionale, nonostante gli appelli e la vantata bontà del nuovo progetto: lo scenario è avere qualificazioni monche, con squadre decimate dalle assenze. Lontane dunque da essere ciò che una nazionale dovrebbe essere: selezione degli atleti d’élite di una scuola cestistica, che si riuniscono e giocano assieme nonostante militino tutto l’anno in club, campionati e perfino continenti diversi.
Di buono, a leggere la lettera di Vlade Divac – uno che, glielo concediamo, la storia del basket delle nazionali l’ha scritta in prima persona – c’è che adesso si ritroverebbe il contatto col grande pubblico, con più partite giocate in casa e meno in campo neutro. Scrive Vlade: “Il nuovo formato delle competizioni che diventa effettivo dal prossimo novembre è stato delineato non solo per posizionare i Mondiali lontani dagli altri eventi sportivi estivi, a cominciare dallo spostamento dal 2018 al 2019, ma anche per assicurare che le nazionali giochino di fronte al proprio pubblico di casa. Questo sistema creerà sinergie con le competizioni di club, aiutando così tutta la famiglia del basket“. E in ciò che dice c’è una porzione di verità, se è vero che le nazionali di calcio ‘abbracciano’ più spesso il proprio pubblico, ma convince poco il seguito. L’oro mondiale 1990 e 2002 plaude infatti al fatto che “Per i giocatori, il nuovo calendario porta, per la prima volta, un’estate libera ogni ciclo di quattro anni, riducendo la pressione e fornendo loro il tempo necessario per riposare e riprendersi da un calendario già abbastanza faticoso“, ma la sensazione è che inserire proprio in un calendario così pieno e già ingolfato queste partite andrà ad aggravare invece che alleviare il problema.
Con un sistema di rotazione delle convocazioni, probabilmente, si sarebbe tamponato per un po’, in attesa magari di potersi mettere in una posizione più comoda e potente per contrattare.
Infine, a prescindere dal merito – l’Eurolega a girone unico non ha giovato a Milano, cucchiaio di legno europeo che ha dovuto pure smettere di consolarsi col dominio nel torneo di casa – queste guerre rischiano di dividere ulteriormente forti e meno forti, ricchi e meno ricchi.
Che uno sport come il basket, fenomeno ormai globale capace di ripensarsi anche a livello di innovazione tecnologica (ieri pomeriggio abbiamo ammirato in diretta streaming ufficiale sui canali FIBA la vittoria degli azzurrini ai quarti di finale dei Mondiali Under 19), fatichi a rinnovarsi senza infliggere ferite a destra e a manca è davvero un peccato: negli anni dell’ingresso di una seconda variante (il 3X3) tra le discipline olimpiche e di una crescita irresistibile, questa guerra tra dirigenti non può che rattristare.