Editoriali

L’Italia Under 21 e la (dura) legge dell’altalena

Se c’è un elemento in particolare che ci pare del tutto assente dall’informazione sportiva contemporanea è l’equilibrio. Non perché si voglia per forza propugnare il doppiopesismo, il cerchiobottismo e consimili atteggiamenti pelosi, tutt’altro: ben venganole idee forti, gli sguardi laterali e le analisi nette, ma a patto che si tratti sempre di pensieri meditati, e non il frutto dell’ultimo refolo spirato, della presa di posizione estemporanea o, ancor peggio, di comodo.

Esempi ve ne sono a bizzeffe, sia pescando indietro e rammentando la magnificazione della scuola spagnola alla minima vittoria internazionale da parte d’una squadra iberica, club o nazionale che sia, o la santificazione del modello tedesco, ovviamente a mondiale acquisito (non senza sorte) ovviamente sopravvolando sul ventennio di onorevoli e giustificate delusioni teutoniche, sia, soprattutto, mirando al presente. Ultimo caso in ordine cronologico, l’elezione, dopo appena una e una sola vittoria, a miglior Under 21 azzurra della storia per la squadra allestita da Di Biagio e le asperrime critiche seguite alla sconfitta, bruciante quanto “umana”, rimediata dalla Repubblica Ceca.

Immancabile corredo, i dubbi al riguardo non sussistevano, le maligne insinuazioni sul conto di Gigio Donnarumma, il cui gol subito da Havlík sarebbe, per alcuni, diretta conseguenza del mancato accordo col Milan e frutto del pessimo influsso di Mino Raiola sulla giovane mente del portiere campano. Ovvio che fosse tutto questo fosse da aspettarsi, se si pensa che l’autentico sport dell’estate 2017 (sarà disciplina olimpica a Tokyo 2020) è l’ormai diffusissimo Impara la vita a Donnarumma, presto disponibile in versione cartacea e digitale. Come se un professionista che ha la possibilità di guadagnare ben più di quanto gli offre l’azienda cui sta attualmente fornendo le proprie prestazioni (pagate assai poco negli ultimi due anni) sia necessariamente da blasimare e trattare come il peggiore degli esseri umani. La legge del mercato va bene, sì, ma solo quando favorisce i club (che, casualmente, hanno la possibilità di organizzare vere e proprie campagne di stampa).

La vittoria sulla Germania ha poi rimesso, almeno in parte, le cose al loro posto: Italia in semifinale e, stasera, match da dentro o fuori con gli accreditatissimi parietà spagnoli. Partita tutta da vedere, da godere, per pesare se quella azzurrina sarà vera gloria. Senza estremizzare, diciamo noi: tornare a casa sarebbe certo doloroso, come dolorosa è qualsiasi sconfitta conseguita giocando al massimo delle proprie possibilità, ma non corrisponderebbe alla fine del mondo, come non lo sarebbe stato neppure mancare una qualificazione alla portata nostra come dei cechi. Il calcio è uno sport unico e affascinante proprio per la sua profonda, talvolta crudele, aleatorietà: non vince sempre il “più forte” (concetto peraltro quantomai teorico), bensì il “più efficace”, nel bene e nel male.

Di certo, l’Under 21 di Di Biagio ha il grande merito, complice un palinsesto internazionale favorevole con una Confederations Cup più povera del solito sul fronte dei contenuti squisitamente spettacolari, d’aver riportato il calcio giovanile per eccellenza sulle prime pagine e reti televisive. Un fenomeno d’altri tempi, quando gli Azzurrini vincevano spesso e volentieri: i tre successi di Cesare Maldini, cui si sommano pure le singole affermazioni di Tardelli e Gentile, sono forse irripetibili e, a conti fatti, non vennero capitalizzati a dovere dal movimento italiano successivo. Nel caso presente, un dato ci pare da concedere al pure all’ottimismo, invero spericolato, creatosi intorno ai ragazzi di Luigi Di Biagio: tra le file di questa Under, la quasi totalità di calciatori ha già accumulato una solida esperienza professionistica, elemento davvero interessante ed encomiabile, nonché di grande significato se il calcio azzurro saprà davvero trarre una lezione da questa esperienza. Dopo anni di chiacchiere e velleità sulla filosofia della cantera, senza che vi sia stata, in apparenza, una reale politica in tal senso, ecco sbocciare i Berardi, i Bernardeschi, i Benassi, i Rugani, i Donnarumma e gli Scuffet, per non dire del foltissimo gruppo atalantino, che rappresenta la spina dorsale di questa “nuova Italia”.

E ci voleva, forse, una delle peggiori crisi d’identità che il calcio italiano ricordi per “costringere” qualche club (non tutti, purtroppo) a pensare d’investire sul famigerato Made in Italy, offrendo occasioni a giovani calciatori italiani, e non solo ad atleti stranieri per motivi di convenienza economica. Chi scrive non concepisce, di per sé, differenze etniche o nazionali, ma è evidente come la de-territorializzazione spinta e mal gestita sia, senza dubbio, uno degli elementi critici che affliggono lo sport contemporaneo (pensiamo non solo al calcio, ma pure al basket), che ostacolano l’auspicabile immedesimazione da parte del pubblico, ossia il “sale” di ogni passione che si rispetti.

Stasera si va in campo: buona partita, Azzurrini, e che possiate dare il meglio di voi, di concerto a un allenatore che non ci sembra aver brillato nei primi tre incontri. Se vincerete, sarà bellissimo, e altrettanto bella sarà l’attesa della finale (contro l’Inghilterra o la già incontrata Germania); se perderete, sarà spiacevole, senz’altro, ma niente di grave o irreparabile. Avete talento, avete una carriera davanti, avete (e avrete) la possibilità di rinnovare la Nazionale maggiore, sperando che ognuno di voi possa mantenere quanto sinora promesso.
E, consiglio gratuito senza nessuna speranza di essere ascoltati: mollate i social network o assumete qualcuno di bravo per poterli gestire.

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Igor Vazzaz