“Che lavoro vorresti fare da grande, tesoro?”
“Il procuratore, mamma!”
“Ma come, non il calciatore?”
“No, se faccio il procuratore divento più ricco!”
Certo, questa è una conversazione assurda, inverosimile. Da quando in qua un procuratore può guadagnare più di un calciatore? È come se un maggiordomo incassasse più di chi lo stipendia. Eppure, udite udite, non è questo l’aspetto inverosimile della sopracitata conversazione. L’assurdità, la provocazione, sta nella scelta del bambino: i piccoli tifosi non aspireranno mai a essere procuratori, sogneranno sempre di essere calciatori. Perché? Semplice, perché il calciatore è il centro di tutto: è il protagonista, è colui che scatena l’emozione, è l’elemento fondamentale a cui tutto ruota attorno. Il fatto che un procuratore guadagni più di molti calciatori di alto livello, invece, è tremendamente realistico.
Ci sono procuratori e procuratori, è ovvio. Non tutti incassano fior fior di quattrini, non tutti hanno assistiti richiesti da mezzo mondo. Però ce n’è uno in particolare che, in questo periodo, sta ridisegnando il ruolo di questa figura professionale: Mino Raiola. Nonostante abbia un portafoglio fatto di campioni affermati, giovani talenti e promesse mai mantenute riesce a essere lui la star, il protagonista, il centro di tutto. È significativo il fatto che, nella telenovela legata a Donnarumma, il tifo organizzato rossonero abbia dedicato proprio all’italo-olandese uno striscione. Polemico, provocatorio, certo, però personalizzato, da una curva che, negli ultimi anni, ha dedicato striscioni personalizzati solo ad Abbiati per il ritiro, a Montolivo per l’infortunio, a Cesare Maldini per la scomparsa e ai più bersagliati Galliani e Berlusconi.
Nel tormentone mediatico legato a Donnarumma, il soggetto principale, l’attuale portiere del Milan, non si è mai esposto pubblicamente; al contrario, il suo agente ha rilasciato svariate dichiarazioni, convocando addirittura una conferenza stampa per fare chiarezza sulla situazione del suo assistito. In realtà, però, anche la conferenza stampa è stata egocentrica: Raiola ha tirato in ballo il suddetto striscione a lui dedicato e l’avversione personale e professionale nei confronti di Mirabelli, indicandoli come alcuni dei motivi che hanno portato alla scelta (sua o del suo assistito?) di non rinnovare. Il tutto condito da continui richiami a Galliani, interlocutore gradito del “vecchio” Milan, compagno di merende di Raiola, posto dunque in antitesi al detestato Mirabelli. Già, Mirabelli, il dirigente del Milan che si era permesso di parlare con un tesserato della società che rappresenta senza chiedere il permesso al suo agente. Quest’ultimo punto credo non abbia bisogno di commenti se non un laconico: a che punto siamo arrivati?
Accuse preventive di mobbing, antipatie personali, divieto ai dirigenti del Milan di parlare con il proprio portiere previa autorizzazione e un atteggiamento da grande burattinaio, da demiurgo del calcio, nel senso platonico del termine. Raiola sta vivendo un delirio di onnipotenza che lo ha portato a credere di poter spostare tutte le pedine a suo piacimento e, soprattutto, nel suo personalissimo interesse. Ma chi ha conferito tutto questo potere a un procuratore? Ebbene si, è stato il sistema stesso a piegarsi alle sue volontà. Lo spostamento di Pogba da Torino a Manchester ha sentenziato il potere di Raiola, grazie ad alcune delle sue famose clausole che definire grottesche, viste da fuori, appare addirittura limitativo: in un affare da 105 milioni, il buon Mino se n’è intascati 2,6 dal calciatore, 19,4 dallo United e, addirittura, 27 dalla Juventus. Un totale di 49 milioni: in una trattativa in cui era solo un intermediario, l’unica figura non fondamentale nella catena acquirente-oggetto della transazione-venditore, è riuscito a guadagnare più di quanto percepisca Messi in un anno dal Barcellona.
Cos’avrà mai fatto di tanto importante un procuratore per ottenere una cifra del genere? I suoi assistiti, senza di lui, sarebbero comunque corteggiati dalle migliori squadre del mondo a suon di proposte milionarie, in quanto le qualità dei vari Pogba, Ibrahimović e Donnarumma sono evidenti e universalmente riconosciute: parlando in termini “markettari”, Raiola ha per le mani prodotti che si vendono da soli, senza bisogno di pubblicità e infiocchettamenti vari. Le tre parti in causa, nel caso specifico Juventus-Pogba-Manchester United, non avrebbero potuto ottenere tutte assieme un enorme vantaggio economico senza svenarsi con commissioni folli? La domanda è proprio questa: quale di queste tre parti ha ottenuto un vantaggio da questa mega commissione complessiva di 49 milioni? Nessuna. O meglio, una: la quarta parte, l’unica non indispensabile ai fini della buona riuscita della trattativa.
L’ultimo aspetto che deve essere analizzato in questo intreccio è la fuoriuscita di denaro dal sistema calcio: i soldi che incassa una società nella cessione di un atleta vengono reinvestiti per il bene della società, andando così a creare un circolo virtuoso che valorizza tutto il sistema calcio. Le valanghe di milioni spese a titolo di commissione per un procuratore, invece, escono dal sistema e arricchiscono solo il beneficiario. Anche lo stipendio di un calciatore arricchisce il singolo, è vero, ma gli atleti sono l’essenza dello sport, gli spettatori pagano il biglietto per vederli in azione. La gente non va allo stadio per gli addetti stampa o per i responsabili alla sicurezza, infatti questi ruoli hanno un corrispettivo economico proporzionato alla loro importanza e unicità ai fini dello spettacolo. Il procuratore, a quanto pare, no.
“Mamma, in realtà da grande voglio fare il calciatore. Voglio diventare il migliore al mondo e vincere il Pallone d’Oro. Però voglio che papà sia il mio procuratore, così potremo diventare anche ricchi!”