“Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”.
Forse questa frase, ripresa dal capolavoro di Mario Monicelli Amici Miei, è stata scomodata troppe volte per definire la parola genio. Ma sintetizza perfettamente i fattori necessari per rendere un semplice comportamento un gesto che verrà ricordato per sempre. Anche lo sport, che di gesti tecnici vive e si alimenta, soggiace a questa condizione. E permette di scrivere nuove pagine di storia che verranno tramandate alle generazioni del futuro.
Era il 25 giugno 1988. All’Olympiastadion di Monaco di Baviera andava in scena la finale del Campionato Europeo. Di fronte Olanda e Unione Sovietica, che in semifinale avevano battuto a sorpresa le due favorite Germania Ovest e Italia. Si trattava di una sfida dal sapore particolare, visto che entrambe le formazioni alla vigilia erano considerate delle outsider. Inoltre si erano già affrontate nel girone eliminatorio, nella prima giornata del loro cammino: avevano vinto i sovietici, di misura, grazie a un gol di Rac. In quella partita Marco van Basten aveva cominciato dalla panchina, visto che inizialmente l’allenatore Rinus Michels gli aveva preferito il suo alter ego John Bosman; ma da quella successiva il Cigno di Utrecht era diventato il centravanti titolare e aveva ampiamente ripagato la scelta, segnando quattro gol in totale e divenendo capocannoniere della manifestazione.
L’Olanda partì subito forte, scardinando la difesa compatta del “Colonnello” Lobanovskyi alla mezzora del primo tempo. Segnò Gullit, l’altro milanista, con un gran colpo di testa da pochi passi. Ma, in quella che sarebbe diventata una giornata di festa per tutto il popolo arancione – finalmente sul tetto d’Europa dopo anni di rimpianti e secondi posti – van Basten si prese gran parte della scena. Al nono della ripresa la sua fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione ci consegnarono un gol da leggenda. L’azione partì dalla metà campo olandese: van Tiggelen, bravo ad approfittare di un controllo errato di Khidiyatullin, recuperò il pallone e rilanciò subito l’azione servendo Mühren sulla fascia sinistra. L’esperto centrocampista dell’Ajax, di prima intenzione, pennellò istintivamente un cross sperando di trovare un suo compagno. Non c’era un attaccante qualunque, in quell’area di rigore. Un attaccante qualunque avrebbe cercato di controllare il pallone, di superare magari con qualche finta il suo diretto marcatore e poi scoccare in porta un tiro più facile, da posizione più rassicurante. Van Basten no. Van Basten non fece tutto questo. Agì d’istinto, trasformando un’idea folle in un capolavoro. Come solo i geni sanno fare.
Poco importa se Desaev, portiere dell’URSS sconfitto, abbia recentemente sostenuto (in un’intervista a Repubblica, ndr) di come quel gol sia stato fortunoso. Certamente, come in tutte le cose, per chi ci crede, la componente fortuna ebbe il suo peso. Ma il tiro al volo di van Basten fu il frutto della classe e dell’estro, prima di tutto. E di quella sfacciataggine di chi sa di poter fare qualunque cosa, con le qualità tecniche che la natura gli ha concesso.
Io all’epoca non avevo ancora sette anni. Mi ero avvicinato al calcio da poco, sospinto più da una sorta di eredità paterna che da un reale interesse. Ma quel giorno cambiò tutto. Non solo ebbi modo di ammirare, in diretta, il gesto tecnico di un campione del quale ero già tifoso. Mi resi conto che un vero fuoriclasse ha il potere di sorprenderti ed emozionarti. Che una semplice giocata può farti innamorare. Da quel giorno Marcel van Basten, detto Marco, sarebbe stato il mio idolo e avrebbe cambiato totalmente il mio modo di vedere e assaporare il gioco del calcio. E oggi, a 29 anni di distanza da quel gol, l’emozione nel riguardarlo è sempre la stessa. Grazie Marco.