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Non rinnovo. Me ne vado. Non torno più.

Non rinnovo. Me ne vado. Non torno più.
Per arroventare la calda estate del pallone – in attesa che il calciomercato entri nel vivo e ci faccia pregustare un succulento antipasto della prossima stagione – sono bastate queste poche parole. Parole dette in momenti di folle lucidità, che non lasciano spazio a interpretazioni, repliche o contromosse. Ma che squarciano la realtà lasciando, nei tifosi e nelle società di appartenenza, l’acre sapore della beffa mista a rabbia.

Non è importante che tu sia un giovanissimo talento, un campione stra-affermato o una star indiscussa della tua squadra. E nemmeno che tu abbia un procuratore ambizioso, una sindrome da accerchiamento fiscale o che tu voglia coronare il tuo sogno di giocare nel club che è més que un club. In sostanza, non fa differenza chiamarsi Donnarumma, Cristiano Ronaldo o Verratti. Quel che conta è mostrare i muscoli, far vedere che il coltello dalla parte del manico ce l’hai te, calciatore, e non la tua società.

L’ultimo, in ordine di tempo, è stato Marco Verratti. Il centrocampista pescarese è arrivato a Parigi nel 2012 quasi da perfetto Signor Nessuno e, stagione dopo stagione, è diventato uno dei punti fermi del PSG. Diventando sempre più protagonista e strappando uno stipendio da top player. Ora punta i piedi, gli Champs-Élysées non gli bastano più. Vuole scoprire Las Ramblas e toccare con mano cosa significhi giocare con Messi. Il ragionamento di cambiare aria, di per se, può anche essere giusto. Dopo quattro-cinque stagioni è fisiologico, per la maggior parte dei calciatori, cercare nuovi stimoli in altre piazze. E se a cercarti è il Barcellona è molto più semplice cadere in tentazione. Ma contano anche i modi.

Di Donnarumma sono stati scritti fiumi di inchiostro e non vogliamo aggiungere niente di nuovo a quello che è stato già detto. Per il portiere del Milan si tratta di una scelta ben precisa, seppur discutibile, di fronte a un bivio importante per la sua carriera. Per Verratti il discorso è completamente diverso. L’abruzzese è fresco del rinnovo contrattuale, stipulato la scorsa estate, con cui si è legato al Paris Saint-Germain fino al 2021. Ha avuto sei milioni di buoni motivi, per apporre la sua firma a quel contratto. Eppure, dopo appena un anno, sente l’esigenza di cambiare aria e rendere carta straccia quell’accordo.

Il problema, molto probabilmente, sta a monte. Certamente i calciatori non devono essere schiavi del volere univoco delle società, ma la loro emancipazione deve passare da canali di correttezza. Se dai la tua parola, non puoi rimangiartela dopo poco tempo. La logica di chi sottoscrive accordi pluriennali è diventata quella del “io intanto firmo, poi tanto, eventualmente, mi libero in qualche modo”. E questo è profondamente sbagliato. Abbiamo capito che il calcio è cambiato e che anche questo è un segno del cambiamento. Le strette di mano sono gesti vuoti, i contratti sono documenti che possono essere ribaltati in qualunque momento. Ci vorrebbe ben altra leggerezza, rispetto a quella che viene usata per firmare gli accordi, magari multimilionari.