Saper comunicare, nel mondo d’oggi, è forse una delle cose più importanti che ci siano, in tutti gli ambiti della vita. Lavorativamente, esistono professioni dove la comunicazione è ridotta all’essenziale. Meno cose serve dire, più basso è il numero di messaggi necessari, più semplice sarà la comunicazione, con tutte le conseguenze positive del caso. Tutto questo per arrivare alla domanda specifica, alla quale cercheremo di dare una risposta: quanto è importante la comunicazione, per l’allenatore di una squadra di calcio?
Abbiamo un’età (ahinoi) che ci ha consentito di conoscerne, e vederne, parecchi. Per noi il Maestro, in questo ambito, rimane il “Paròn” Nereo Rocco. Parlava in triestino (o in italiano della Venezia Giulia, quando doveva dire cose molto serie): eppure, nessuno, all’epoca, ne ha mai frainteso il pensiero. In tempi più moderni, abbiamo adorato Nils Liedholm, per la sua calma e, soprattutto, per quei suoi paradossi recitati con la stessa solennità dei discorsi più seri (“Cosa penso di esultanze di calciatori di oggi? Noi eravamo più sobri. Ma si segnava molto di più: per fare paragone adeguato, pensate se giocatori di pallacanestro dovessero esultare per ogni punto fatto!”), sempre con il suo inconfondibile accento svedese, oppure “Vuja” Boškov, maestro di ironia e competenza calcistica.
Non è un caso, se abbiamo scelto tecnici ormai deceduti: non vogliamo fare paragoni coi viventi. Non sappiamo se Paolo Tramezzani, debba ancora affinare questo aspetto: siamo di quelli che pensano che, al contrario, sia molto abile, e per nulla sprovveduto, vista anche la sua esperienza di commentatore televisivo. Siamo sempre andati d’accordo con lui, e abbiamo la presunzione di pensare che la sua polemica, ieri (della quale hanno parlato parecchi media anche della Penisola), non fosse diretta a noi.
Per questo motivo, riportiamo le sue parole, e lasciamo giudicare chi legge: “Il mio silenzio degli ultimi tempi? Non avevo voglia di parlare. In alcuni momenti, avete cercato di creare problemi tra me e il presidente. Avete interpretato anche il mio silenzio, avete scritto tanto, ma nessuno ci ha azzeccato. Avete sempre dato dei giudizi, mi avete indirizzato critiche che non dimentico, mi hanno fatto passare momenti difficili, anche se li ho superati. Ma non capivate cosa volesse dire rimanere qui al campo, o nello studio, anche 13 o 14 ore. Ho dato l’anima per questo gruppo di ragazzi: ma sono cose che fate fatica a comprendere.”
“Ho fatto anch’io il giornalista, so cosa vuol dire la vostra professione: secondo me qualcuno l’ha fatta bene, mentre qualcun altro ha avuto l’intenzione di creare disturbi e disagi. Ho smesso di parlare quando ho visto che si mandavano messaggi sbagliati ai tifosi e alla città. Ci avete criticato quando abbiamo mandato in conferenza stampa i giocatori o il mio staff: ma la motivazione era che io volevo, in questo modo, ringraziare per il bel periodo che stavamo vivendo, però anche quello non andava bene. Mi auguro che il prossimo allenatore sia migliore di me, vi telefoni spesso, vi consenta di continuare a fare il vostro lavoro, qualcuno meglio di come ha fatto quest’anno.”
“Il 21 aprile ho detto: vista la situazione, mi piacerebbe proseguire con questa squadra, provando un anno a partire dall’inizio. Dopo la partita di Berna ho detto che non avrei preso in considerazione nient’altro rispetto a proseguire con il Lugano. Sono cambiate le cose. Cos’è successo? Non ve lo dico.”
Ecco, se è vero, come ha detto il tecnico, che nessuno ha capito cosa ci fosse dietro il suo lungo silenzio, sta a significare che c’è stato un problema di comunicazione. Molti non hanno capito che mandare i giocatori (in particolare prima della partita con il San Gallo, quindi dopo la sconfitta di Sion: in pratica, l’inizio di tutto, e dopo il 21 di aprile) e staff in conferenza stampa era un premio per loro (e non un modo per eludere le domande della stampa, magari sul futuro del tecnico, viste le voci che circolavano): un altro problema di comunicazione. Giornalisti che non hanno capito, o allenatore che non ha comunicato in modo corretto? Noi lasciamo decidere ai nostri lettori.
Probabilmente, da quanto si evince anche dall’intervista rilasciata da Constantin al Matin, apparsa oggi sul quotidiano ginevrino (una sorta di Blick romando, a livello di autorevolezza), il tecnico emiliano, l’anno prossimo, si siederà sulla caldissima e stimolante panchina vallesana. Crediamo sia un grande, legittimo e meritato traguardo.
Paolo, da uomo di calcio intelligente e preparato, e avrà senz’altro studiato il lavoro di Peter Zeidler, suo predecessore: lavoratore instancabile, germanico nei metodi e nell’applicazione, motivatore, di lingua madre tedesca ma, in passato, insegnante di francese e, quindi, in grado di conversare, senza essere frainteso, con la stampa di tutta la Svizzera. Ecco: la necessità di una comunicazione efficace, ancora una volta, emerge di prepotenza. Comunque, non siamo qua per dare consigli non richiesti: quindi, un abbraccio e un sincero “In bocca al lupo”, Paolo, per il tuo futuro. Ovunque tu vada, “Ci vediamo in giro”.