Home » La franchigia spazzata via da un giornalista

La franchigia spazzata via da un giornalista

Leonard Zhukovsky / Shutterstock.com

Immaginate di avere il potere di decidere le sorti di un’intera lega professionistica. Un Dio, che dall’alto del suo trono possa gettare un fulmine di mitologica memoria su una squadra, riuscendo a diminuire le possibilità di vittoria a lungo termine della stessa, aumentando quelle degli altri.
L’Olimpo di cui vi scrivo oggi è fatto da 100 individui, maestri della penna, che qualche settimana fa hanno fatto il login sulla pagina NBA e votato i migliori quindici giocatori della passata stagione regolare.

Nulla di strano, penserete. Poi a questi quindici danno un premio, una targa, e finita lì. Non esattamente.
Il regolamento NBA prevede che questi quindici cestisti possano essere rinnovati in estate dalla loro attuale franchigia al massimo del contratto. Le altre squadre, invece, potranno offrire un contratto di entità considerevolmente minore.
Questa misura è stata adottata dalla NBA per evitare le supersquadre: i Warriors di oggi, gli Heat di ieri, i Lakers di Malone, Kobe, Payton, Shaq. Se i top player possono prendere il massimo dei soldi unicamente dalla loro squadra attuale, lo faranno. Se vogliono, come Kevin Durant, vincere, dovranno tassarsi passando a una squadra che non può offrire loro il massimo stipendio possibile.

I problemi, quindi, sorgono quando il tuo migliore giocatore non è votato tra i primi quindici. A quel punto puoi offrirgli un contratto del tutto equiparabile a quello delle altre squadre, così molto più fiduciose di potertelo strappare.
Quando è stata resa nota la lista di giocatori di quest’anno, a esempio, in Indiana e Utah molti cuori si sono fermati. Nella lista, infatti, non c’erano Gordon Hayward e Paul George.
Prendiamo Hayward, come vedete dalla tabella seguente, per lui non c’è alcuna differenza monetaria nel firmare ora con un’altra franchigia che non siano gli Utah Jazz.

immagine TheRinger – Kevin O’Connor

Se nel 2020 Hayward sarà nei top-15, guadagnerà il massimo da un rinnovo. Per giungere nei top-15 ha tre anni di tempo in una squadra che lui ritiene più adatta di Utah a conseguire tale status. Per esempio, si vocifera, i Boston Celtics.
Stesso discorso per Paul George, miglior giocatore degli Indiana Pacers che ha già sospirato di voler andare ai Los Angeles Lakers.

Sono quindi i giornalisti di tutto il Mondo a decidere se ti puoi tenere il tuo miglior giocatore. In uno sport con cinque titolari, può fare tutta la differenza del Mondo. Ora che questo (spero) è chiaro, stabiliamo quanto sia giusto.

Anzitutto, è giustissimo si combatta il fenomeno delle supersquadre: i Warriors in finale con questa facilità a Ovest sono una cosa da rivolta mondiale, da scendere in piazza con ideali forconi e pietre. Così come gli Heat di LeBron, Wade e Bosh. Poi, quando sia quella Miami che i SuperLakers degli hall of famer persero le finali un sorriso si fa, ma è un’altra storia e si scende nell’intimità del singolo spettatore.
D’altra parte, rimane da stabilire quanto debbano essere 100 eletti – bravissimi – giornalisti a farlo. Più difficile, qui, dire se sia giusto o meno. Sicuramente non è giusto lo facciano di fronte al pubblico giudizio: certo, perché tra qualche settimana verranno pubblicati i voti.
Scopriremo così chi non ha votato LeBron James nella Top-5 (per fortuna solo una persona non l’ha fatto) e chi ha escluso da essa Russell Westbrook – il nostro fantastico Flavio Tranquillo, che poi ha chiaramente argomentato la sua scelta non riuscendo a evitare relative pernacchie social da chi non sa nemmeno di quale forma sia la palla da basket.

Ma soprattutto in Utah scopriranno chi ha tolto loro Gordon Hayward e in Indiana chi ha spedito Paul George nella città degli angeli.
Votare è un privilegio, e chi vi scrive non può che ammettere quanto sarebbe totalizzante avere un potere così grande. D’altra parte, avrebbe timore di passare i sei mesi successivi a quel maledetto login a rispondere su Twitter a tutti i tifosi dei Pacers che gli chiedono “perché”.
Concludere che il sistema non sia giusto e basta rimane comunque complicato.
Certo, ci sarebbe l’alternativa.

Con tutte le statistiche che gli americani si inventano su base giornaliera, efficienza difensiva, offensiva, +/-, punti a possesso, impatto sulla partita, eccetera, siamo proprio sicuri che non si possa trovare un modo per ridurre a un modello oggettivo lo smaltimento delle supersquadre che così tanto ci fanno arrabbiare?
Quantomeno toglierebbe al giudizio personale il potere di influenzare il futuro di una franchigia NBA. Tra l’altro, come vi sarete accorti, si toglie ai poveri (Utah e Indiana sono mercati minori) per dare ai ricchissimi, altro fattore in completo contrasto con la politica sportiva a stelle e strisce.
Che sobbalza sulle strade malridotte di una democrazia planetaria a cui anela ma che potrebbe portare fuori strada il treno più ricco dello sport mondiale.