Home » ESCLUSIVA – I nuovi talenti: Luca Palmiero

Foto per gentile concessione di Luca Palmiero

Ventunesimo e ultimo appuntamento del nostro viaggio tra i giovani talenti di Lega Pro edizione 2016-2017. Questa settimana torniamo a parlare del Girone C e siamo scesi in Sicilia per andare a trovare il “metronomo” dell’Akragas, una squadra che più di tutte riesce a valorizzare giovani calciatori, Luca Palmiero.

Luca (173 cm per 67 kg) compirà 21 anni fra qualche giorno (l’1 maggio) e, nonostante la giovanissima età, lo si può considerare tra i migliori centrocampisti e tra le più piacevoli sorprese dell’intero panorama di Lega Pro. Padroneggia il ruolo come pochi e dimostra non solo di possedere precisione, ma anche una straordinaria visione di gioco e intelligenza tattica nel dettare i tempi e ordine alla squadra. È un elemento prezioso anche per la professionalità e unisce alla tecnica temperamento, corsa e tempismo negli interventi: uno che sa mandare in porta i compagni e che, se in giornata, fà ammattire gli avversari.

Sei di Napoli e già a quattro anni hai iniziato il tuo percorso calcistico nella squadra del tuo quartiere, ovvero il Marano Calcio. Cosa ricordi di quell’epoca e quali allenatori hanno rivestito una determinante importanza?

Ho iniziato da piccolissimo, mi ci portò mio padre ed era grande il desiderio di farmi iniziare a giocare a calcio. Proprio mio padre (ex giocatore della Juve Stabia in Serie C2 e C1 ndr) è stato il mio primo mister ed è lui che mi ha insegnato le basi: come palleggiare, come stoppare la palla e come calciare in porta. Poi, crescendo ha voluto lasciarmi nelle mani degli altri allenatori e ha voluto in qualche modo allontanarsi dal mondo del calcio. Non ho ricordi particolari di quell’epoca: un po’ perché ero piccolo e un po’ perché non giocai tornei così esaltanti da rimanere impressi nella mia memoria. Diciamo solo qualche torneo disputato fuori regione e poco altro.

Sei nato centrocampista o qualcuno ti ha inventato in quella posizione in campo? 

Sono stato sempre un centrocampista. Il mio ricordo è che mi son messo fin da tenera età in questo ruolo e, inoltre, quando ero bambino impazzivo per Demetrio Albertini. Avevo anche la sua maglietta e, quindi, cercavo di emularlo.

A dodici anni passi alle giovanili del Napoli: dagli Esordienti mister Mimmo Panico ti nota sùbito e ti porta dopo solo un anno tra i Giovanissimi Nazionali con i più “grandi”, ossia i Classe ’95. Cosa mi racconti di quegli anni? Cosa devi a Panico?

Il mister ha creduto in me fin dal primo momento e a lui devo proprio questa immensa fiducia nei miei confronti. Grazie a ciò, il secondo anno con i miei pari età arrivai in finale nazionale Giovanissimi contro la Fiorentina: perdemmo 3-0, ma fu comunque una gran bella esperienza. Ricordo anche qualche gol, in particolare quello nei playoff contro il Livorno: sugli sviluppi di un calcio d’angolo ci fu la respinta corta della difesa e feci gol tirando rasoterra nell’angolino basso. In generale, Panico mi ha trasmesso la fame di vincere e la voglia di arrivare: oltre a essere un buon tecnico è anche un grande motivatore. Poi, passai agli Allievi Nazionali sotto la guida di mister Liguori e vincemmo una Viareggio Junior Cup: fu una grande gratificazione, anche se non partecipavano le big del calcio italiano. Liguori è un grande estimatore di Zeman ed è stato lui a spostarmi di ruolo da mezzala a mediano davanti la difesa: in questa posizione ho conquistato la convocazione in Nazionale e successivamente la Primavera. Con lui ho imparato molto: avere un’idea di gioco, di possesso palla, geometrie e tagli alle spalle della difesa.

È, infatti, anche l’epoca dell’esperienza nelle Nazionali Under 16, Under 17 e Under 18. Cosa si prova a far parte di una selezione? Ci sono gare che ricordi con particolare senso di gratificazione e perché?

Le partite con la maglia della Nazionale le ricordo tutte perché indossarla è una sensazione meravigliosa e indescrivibile. Inoltre eravamo un gruppo di calciatori fantastico; in ogni caso, è un tipo di esperienza più scanzonata, non è come la Lega Pro. In Terza Serie, stando con compagni più grandi, bisogna prendersi delle responsabilità a prescindere dall’età. Le gare con la Nazionale che porto più nel cuore sono quelle della fase Elite degli Europei Under 17: le giocammo contro Norvegia, Olanda e Irlanda del Nord. La grande soddisfazione fu qualificarci ed era da tanti anni che l’Under 17 non riusciva nell’impresa. Purtroppo, alla fase finale non fui convocato per scelte tecniche e, quindi, non partecipai.

Passiamo agli anni con la Primavera del Napoli. Mi racconti quelle stagioni?

Tre stagioni meravigliose. Nella prima, la squadra era composta dai classe ’94 e ’95, per cui ero il più piccolo. Non pensavo di giocare così tanto perché comunque ero sotto età di due anni, ma mister Saurini aveva tanta fiducia in me. Sono stato titolare fin dalla prima partita di campionato: conservo un gran bel ricordo di quella stagione perché arrivammo in finale di Coppa Italia con la Juventus, giocando l’andata allo Stadium e il ritorno al San Paolo davanti a una cornice di pubblico fantastica. A Torino pareggiammo 1-1 e al ritorno vinse la Juve 2-1. In quegli anni ho fatto anche qualche gol: in particolare, ricordo quello segnato a Marsiglia in occasione della Youth League. Perdemmo 2-1, ma riuscimmo lo stesso a passare il turno perché vincemmo le tre partite in casa; agli ottavi incontrammo il Real Madrid, perdemmo 2-1 al 95′ e fu una grandissima delusione.

Nel 2015 finalmente arrivi tra i Pro, come avviene il trasferimento alla Paganese? Arrivano anche i primi gol tra i professionisti, me li racconti?

Appena finiti gli anni di Primavera (ne fui il capitano per due stagioni), l’unico a non avere ancora una squadra ero io. Partii in ritiro, dunque, anche se fuori quota, con i miei vecchi compagni fino a quando arrivò la chiamata della Paganese. I primi sei mesi furono difficili, facevo fatica a trovare posto in squadra: non è semplice integrarsi così giovani tra i professionisti e avere sùbito la giusta mentalità e i ritmi per affrontare la Lega Pro. Quindi, giocai solo tre partite (ma venivo considerato solamente come mediano davanti la difesa): una da titolare e le altre due solo spezzoni. Nel girone di ritorno invece mister Grassadonia iniziò a prendermi in considerazione anche come mezzala e da lì in poi cambiò la mia stagione perché iniziai a giocare con più continuità, anche se non sempre da titolare in quanto ero “chiuso” da giocatori fortissimi come Deli. Io non sono uno che segna molto, quindi i gol li ricordo tutti bene: uno lo segnai al Martina Franca e l’altro all’Ischia.

Capitolo Akragas. Un campionato difficile, ma entusiasmante. In lotta per evitare i playout a due giornate dal termine. Dopo le cessioni nella sessione invernale di calciomercato dovute alle esigenze economiche del club la squadra perde pezzi di valore, ma la grinta resta la stessa. Mi racconti come affronti la permanenza ad Agrigento, quali gli stimoli nel tentare di salvare la squadra, che ha l’età media più bassa dei tre gironi?

L’entusiasmo si trova perché abbiamo la possibilità di dimostrare tutto il nostro valore nonostante le avversità. Non riuscissimo a trovare le motivazioni, potremmo anche cambiare lavoro e dedicarci ad altro. Non è stato facile: tutti ci davano per spacciati e dicevano che avremmo perso tutte le partite con goleada. C’era un po’ di scoramento, ma ci siamo rimboccati le maniche e, in particolare, la partita col Fondi finita 2-2 è stata la svolta perché ci ha resi consapevoli della nostra forza. Le motivazioni contano più di tutto il resto e siamo ancora qui a lottare per la salvezza. Un ruolo importante, certamente, lo riveste mister Di Napoli, il quale è riuscito a ridare entusiasmo a tutta la squadra in una situazione in cui l’entusiasmo era sotto i tacchi.

Domenica vi attende la sfida con la Juve Stabia, squadra molto organizzata che ambisce a giocarsi fino alla fine le sfide playoff. Cosa temi di più di questa partita?

Innanzitutto, non dobbiamo commettere l’errore di pensare che loro vengano a fare una gita ad Agrigento: qui sono venuti tutti col coltello fra i denti. Dobbiamo essere bravi e perfetti in campo perché domenica ci giochiamo gran parte del nostro futuro. Nessuno regala niente in questo campionato, quindi dobbiamo dare il meglio e fare affidamento solo su noi stessi: saremo gli artefici del nostro destino.

Tra le squadre del girone C, quale ti ha impressionato maggiormente e perché? 

Due su tutte: Matera e Foggia. La prima per intensità di gioco, la seconda per solidità e compattezza.

E il giocatore più forte che ti sei ritrovato davanti?

Chiricò del Foggia e Cicerelli della Paganese perché rapidi e in grado di saltare l’uomo come pochi.

Quale ritieni siano state la tue partite più belle nel corso di questa stagione?

Quelle contro Catania e Matera.

Quest’anno hai realizzato tre assist: mi descrivi quello più bello o quello che conservi nella memoria per essere stato il più importante?

Quello a Taranto: fallo laterale per noi, mi inserii tra le linee e in area, invece di tirare, la allargai su Coppola che, a mio avviso era meglio piazzato.

Quale ritieni sia il tuo punto forte?

La visione di gioco e il sapere stare in campo.

Quale il punto debole?

Partendo dal presupposto che dal punto di vista tecnico c’è sempre da migliorare, direi il fisico. Quindi, diventare più forte nei contrasti.

A quali giocatori del passato e del presente ti ispiri?

Demetrio Albertini e Claudio Marchisio.

Sogno nel cassetto? Che maglia vorresti indossare un giorno?

Quella del Napoli, ovviamente.