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Da Giulio Bartali a Scarponi: quelle vite strappate alla bicicletta

Radu Razvan / Shutterstock.com

Con la morte di Michele Scarponi, avvenuta dopo un incidente stradale durante un allenamento, si allunga, purtroppo, la lista dei ciclisti che hanno trovato la morte in sella alla propria bicicletta. Bicicletta che per i ciclisti non è solo un mezzo di trasporto, un oggetto inanimato, ma è quasi un’amica, una fedele compagna con la quale si condividono emozioni, successi e passioni. Purtroppo però con la bici si condividono anche momenti peggiori e di seguito sono riportati alcuni eventi negativi che hanno scosso il mondo del ciclismo.

GIULIO BARTALI: il fratello minore di Gino Bartali morì nel 1936 a soli 19 anni. Il giovane ciclista era impegnato in una competizione dilettantistica, la Targa Chiari, che si correva sulle strade della Toscana, terra natia dei fratelli Bartali. Durante una discesa, resa più insidiosa dalla pioggia, Bartali fu investito da una macchina proveniente dal senso opposto. L’impatto non fu fatale, ma il corridore riportò diverse fratture, fu trasportato in ospedale per essere operato d’urgenza ma morì due giorni dopo l’incidente, il 16 giugno 1936.

SERSE COPPI: anche Fausto Coppi, come Gino Bartali, dovette superare il dolore per la morte del fratello. Serse Coppi, fratello minore di Fausto, morì nel 1951 e anche lui, come Giulio Bartali, trovò la fine della sua vita nella regione che gli diede i natali, in Piemonte. Durante il Giro del Piemonte, a Torino, mentre era impegnato in uno sprint, la ruota della sua bici si incastrò su un binario del tram provocando la caduta che gli fece sbattere la testa sul suolo. Inizialmente sembrò che Serse non avesse riportato gravi danni, tanto che la sera stessa, dopo il rientro in albergo, si stava preparando per uscire, ma l’emorragia cerebrale rimediata gli fu fatale.

TOM SIMPSON: il ciclista britannico è considerato la prima vittima del doping. Simpson morì durante la scalata del Mont Ventoux nel corso del Tour de France del 1967. Il corridore fu stroncato da un mix di anfetamine e alcool al quale si aggiunse il caldo torrido. Il cuore cedette allo sforzo poiché Simpson non avvertiva la fatica ed era concentrato sul suo obiettivo, quasi in uno stato di trance agonistica. Inutili furono i tentativi di rianimarlo. In cima al Mont Ventoux è stata eretta una stele in memoria di Simpson.

FABIO CASARTELLI: anche il ciclista italiano, nativo di Como, trovò la morte sulle strade del Tour de France. È il 1995 e il gruppo sta affrontando la discesa del Colle di Portet-d’Aspet a una velocità elevatissima. Sono molti a cadere, ma per Fabio Casartelli, privo di casco, è fatale l’impatto della testa su un blocco di cemento al limite della strada. Le condizioni di Fabio appaiono subito gravi vista la quantità di sangue sul suolo e il ciclista è immediatamente trasportato in ospedale a bordo di un elicottero dove subisce tre arresti cardiaci. Dopo vani tentativi di rianimarlo, attraverso trasfusioni e massaggi cardiaci, Fabio Casartelli si deve arrendere. In sua memoria viene eretta una stele e ogni volta che il Tour vi passa, i ciclisti si fermano per ricordarlo.

ANDREJ KIVILËV: durante la Parigi-Nizza del 2003 il ciclista kazako è coinvolto in una caduta di gruppo e sbatte violentemente la testa sul suolo perdendo i sensi. Kivilev viene trasportato in ospedale dove muore per un edema all’età di 29 anni. Dopo il suo incidente viene introdotto l’obbligo di portare il casco durante le competizioni ciclistiche.

ISAAC GÁLVEZ E DIMITRI DE FAUW: il ciclista spagnolo muore nel 2006 durante la Sei Giorni di Gand, in Belgio. A provocare la caduta è il belga Dimitri De Fauw che accidentalmente urta Gálvez che cade sbattendo violentemente contro una balaustra. Il ciclista spagnolo muore durante il trasporto in ospedale, mentre De Fauw, in seguito all’episodio, cade in depressione e si suicida nel 2009.

WOUTER WEYLANDT: durante il Giro d’Italia 2011, nel corso della 3/a tappa, la Reggio Emilia-Rapallo, il gruppo è lanciato all’inseguimento dei fuggitivi sulla discesa del Passo del Bocco. Il 26enne belga perde il controllo della sua bici e sbatte il volto sull’asfalto rimediando una frattura cranica. Nonostante il tentativo di rianimarlo, il ciclista muore nel giro di pochi minuti. In sua memoria l’organizzazione del Giro d’Italia ha deciso di ritirare dalla competizione il dorsale numero 108 indossato da Weylandt durante la corsa rosa.

XAVIER TONDÓ VOLPINI: pochi giorni dopo la tragedia di Wouter Weylandt, a Giro d’Italia ancora in corso, un altro ciclista perde la vita. Si tratta dello spagnolo Xavier Tondó Volpini che non viene però coinvolto in un incidente mentre è in sella alla sua bici, ma viene schiacciato dalla porta del garage mentre sta per uscire per un allenamento con il compagno di squadra Beñat Intxausti.

ANTOINE DEMOITIÉ E DAAN MYNGHEER: nel 2016, nel giro di due giorni, il ciclismo belga e internazionale è ancora sconvolto dalle morti accidentali di due ragazzi. Durante la Gand-Wevelgem, Demoitié è coinvolto in una caduta e rimane a terra, viene però investito da una motocicletta il cui conducente non si avvede del ciclista. Trasportato in ospedale nel reparto di terapia intensiva, Demoitié muore il giorno seguente. Nelle stesse ore in cui Demoitié combatteva contro la morte, Daan Myngheer, anch’egli belga di soli 22 anni, è colto da un infarto durante la prima tappa del Critérium International in Corsica. Myngheer muore il giorno successivo.