Non raccontiamoci storie, il Bayern Monaco è decisamente la squadra che più fa paura in Europa. D’accordo, c’è il Barça di Messi, c’è il Chelsea di Conte (che, peraltro, le coppe non le gioca quest’anno), c’è il Real Madrid sornione e non troppo sexy di Zidane, c’è la nostrana Juventus, c’è il talentuoso Borussia Dortmund. Ma nessuna di queste più che apprezzabili compagini ruba l’occhio e colpisce al cuore come il Bayern del sor Carletto, una squadra meno automatica e meccanizzata di quanto non fosse sotto la guida di Guardiola ma che, comunque, conserva intatta la capacità di schiacciare le avversarie come se fossero piccole pulci. Da Heynckes ad Ancelotti, i Roten mantengono tutta la loro spaventosa potenza e, al momento, appaiono seriamente come la più solida realtà del continente.
Il campionato teutonico è ormai cosa loro ogni benedetto anno, e – dall’ormai lontano 2009/2010 – i bavaresi arrivano sempre perlomeno in semifinale di Champions League (a eccezione del 2010/2011, quando li fermò l’Inter agli ottavi), con tanto di tre finali disputate (vinta una sola, però). È un momento fatato per il club presieduto da Uli Hoeneß, un periodo di grandissimo splendore comparabile a quello vissuto grosso modo tra il 1965 e il 1977 – quando l’attuale numero uno non stava in dirigenza ma in campo – in cui la squadra tedesca si distinse per la conquista di quattro coppe di Germania, quattro scudetti, una Coppa delle Coppe, una Coppa Intercontinentale e ben tre Coppe dei Campioni consecutive.
Di fatto, siamo alla seconda età dell’oro del Bayern Monaco: se in occasione della prima il club venne messo definitivamente sulla cartina del calcio mondiale, stavolta l’idea è rimanerci sempre in bell’evidenza, sostanzialmente. Per questo motivo la società ha deciso di affidarsi a Guardiola prima e Ancelotti poi: non solo vincere e continuare a vincere ma anche costruirsi una nuova strada in qualche misura “fissa”, una tradizione rinfrescata, riveduta e corretta, una filosofia di gioco stabile e in antitesi con quella solida ma poco appariscente del passato. E ci stanno riuscendo. Sia come qualità e quantità dei risultati raccolti dopo l’anno del Triplete (2012/2013), sia come stile di gioco maturato fin qui, ormai nettamente differente dalla tipica filosofia tedesca ultra verticale e molto muscolare.
Ieri abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione della volontà di potenza bavarese: un bel 4-1 sonante rifilato ai rivali di sempre del Borussia Dortmund e il solito, stentoreo, messaggio devastante al campionato (la competizione c’è ed è vibrante. Ma per il secondo posto). BVB che, ricordiamo, è un’altra delle otto formazioni qualificatesi per i quarti di finale della Champions League, nonché una compagine piuttosto rispettata e decisamente temuta dentro e fuori dai confini tedeschi. Il problema è che questo Bayern sembra faticare molto poco, alla fine della fiera, qualunque sia l’avversario. E sembra anche aver raggiunto il perfetto equilibrio tra le sue individualità stellari e un’organizzazione di squadra perfettamente oliata.
Siamo all’apice dell’epoca di questo Bayern Monaco, una squadra non solo completa e fortissima ma anche giunta a una maturazione definitiva, nonché alla sua ultima incarnazione possibile in questa forma (l’anno prossimo saluteranno Xabi Alonso e Lahm, due colonne di quest’ultimo ciclo bavarese – specialmente il secondo, è chiaro). Come diceva qualcuno, the time is now: è ora che gli uomini di Ancelotti vadano in fondo alla stagione e ci mostrino fino in fondo cosa sanno fare quando il gioco si fa duro.