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Una donna arbitro con il pallone nel sangue. La storia di Laura Schettino: “Educata al calcio sin da piccola. Quando sei arbitro, la divisa la senti sulla pelle”

“Il calcio è di tutti”. Frase, questa, che sentiamo ovunque oramai: sui social, in tv, in radio. Usiamo questa frase – bella, semplice, efficace – per sentirci noi stessi parte di una macchina enorme, che coinvolge sia i più grandi club del mondo che le piccole squadre che se la giocano sui campi di terra battuta di periferia. “Il calcio è di tutti”. Vero. Non è solo di calciatori ricchi e di grandi imprenditori. Il calcio è anche, anzi: soprattutto di chi lo vive come una profonda passione, ed è per questo che raccontiamo la storia di Laura Schettino, che la passione per il calcio l’ha sentita sin da sempre scorrere nelle vene. A tal punto da decidere di diventare un arbitro. Donna. Di calcio maschile.

Ciao Laura. Ci racconti come è nata la tua passione per il calcio, e perché hai deciso di fare l’arbitro?

Fin da piccola (già a sei anni) seguivo il mio papà sui campi di gioco. Lui in panchina, io in tribuna. Osservavo la sua passione, i suoi occhi lucidi, la grinta; ricordo ancora la sua voce rauca a fine partita. Ero fiera, orgogliosa, lui allenatore stimato da tutti e adorato dai suoi giocatori. Lui sempre attento al rispetto e all’educazione dei suoi ragazzi. Passano gli anni e la sua passione diventa anche la mia. La più grande! Decido però di viverla in maniera diversa, mi iscrivo, nel 1992, al corso arbitri nella prestigiosa sezione di Milano.

Le difficoltà non sono mancate nella tua vita. Qual è stato il momento in cui la tua carriera ha subìto una svolta?

La mia “carriera” arbitrale è andata subito molto bene (nonostante le perplessità di molti nel vedere una donna a dirigere una gara), mi sono tolta molte soddisfazioni arbitrando tornei prestigiosi e arrivando fino in Promozione. Purtroppo a un certo punto gli impegni lavorativi non mi hanno più permesso di continuare ad arbitrare e, a malincuore, ho rassegnato le dimissioni.

Sei figlia d’arte: gli insegnamenti di tuo padre ti sono serviti per crescere, e per sviluppare al meglio il tuo lavoro. Oggi, che sei a disposizione dei più piccoli, senti di avere una grande responsabilità?

In un certo senso sì, sono figlia d’arte. Sapevo benissimo che la divisa non sarei mai riuscita a togliermela definitivamente: se hai fatto l’arbitro, lo sarai per sempre, la divisa la senti sulla pelle. Infatti, dopo alcuni anni in stand-by, ecco l’occasione che desideravo: finalmente sono tornata in campo. Ancora una volta prendo spunto dal mio papà che, colpito anche lui dal mondo arbitrale (è sempre stato il mio unico tifoso e appena poteva mi seguiva sui campi di tutta la Lombardia), decide di dirigere gare giovanili nell’hinterland milanese. Ormai sono due anni che ogni weekend condivido lo spogliatoio con lui: entrambi dirigenti ufficiali per una importante società sportiva. Credo davvero di avere una grossa responsabilità nei confronti dei piccoli calciatori. Cerco di insegnare “le regole del calcio”, il rispetto per gli avversari e per il direttore di gara (la società a cui appartengo mi dà un grosso aiuto sostenendo il mio obiettivo). Mi auguro di riuscire a far percepire ai giocatori che la loro passione è anche la mia, che l’impegno che ci mettono durante la settimana è lo stesso che ci metto io e, soprattutto, quando commetto un errore sono dispiaciuta come loro quando sbagliano un rigore o un passaggio. Bisogna trasmettere serenità e gioia perché è un gioco ed è il nostro preferito; arbitri e giocatori hanno semplicemente deciso di vivere questa passione in maniera diversa, ma nessuno può divertirsi senza l’altro.

Che consigli senti di dare a chi si approccia al mondo arbitrale, conoscendo tutte le difficoltà che ci sono ad arbitrare soprattutto nelle serie minori?

Consiglio ovviamente di dare sempre il meglio. Siate sereni e concentrati, non fatevi distrarre dalle polemiche! Comunque vada troverete sempre qualcuno che avrà qualcosa da ridire, ma fate percepire l’impegno, il rispetto per i giocatori e mostrate assolutamente entusiasmo, vedrete che anche qualche sbavatura sarà perdonata. Analizzate bene il vostro lavoro e umilmente accettate i consigli dei vostri osservatori. Imparate dagli errori per migliorare e andare avanti. Io nell’ambiente arbitrale ho trovato i miei più grandi amici ed educatori; persone che ancora adesso fanno parte della mia vita. Mi sento di concludere dicendo che se vi “emozionate” ad arbitrare come succede ancora a me a 45 anni, questo è lo sport giusto per voi. Auguro grosse soddisfazioni a tutti e buon arbitraggio!