Editoriali

Un’altra coppa che non va

Della Coppa Italia ne abbiamo già discusso. Dell’Europa League ne parliamo adesso. Comune denominatore tra le due competizioni: la formula. Non uguale né simile, semplicemente non funzionante. Sia nel caso dell’una, sia nel caso dell’altra.

Tralasciamo il trofeo nazionale, e focalizziamo l’attenzione su quello internazionale. Che non è possibile chiamare “ex Coppa Uefa”: quella, almeno, prima del flop degli ultimissimi anni – provocato anch’esso per delle scelte tutt’altro che oculate, che alla fine hanno portato, nel 2009, allo stravolgimento totale della competizione, a partire dal nome – aveva la sua dose di fascino. L’Europa League, invece, di fascino ne ha ben poco, perlomeno quando è nella fase iniziale. Perché a meno che non si prenda come esempio il Sassuolo della situazione, per cui anche solo l’accesso a una competizione internazionale è un traguardo fantastico, il dispendio di energie causato dall’impegno infrasettimanale oltreconfine è tutt’altro che vantaggioso per la gran parte delle squadre che vi partecipano.

I motivi, due:

  • Le squadre sono troppe. Per provare a incrementare la sostanza (e per sostanza è da intendersi i soldi che derivano dagli investimenti sull’Europa League) si è deciso di creare una formula con un pacchetto di squadre piuttosto vasto. Quarantotto: più del doppio di quelle che ci sono nella nostra Serie A, che già di per se è un campionato numeroso. Certo, l’Europa è grande, ed è ovvio che il numero di squadre debba essere maggiore rispetto a un semplice campionato nazionale, ma per quanto riguarda l’Europa League, la sensazione è che si sia lasciati prendere un po’ la mano. Per abbracciare più club, e dunque sperare in maggiori investimenti e introiti pubblicitari, si è finiti per abbassare il livello generale della competizione.
  • Inizialmente, non è un obiettivo. Diretta conseguenza del punto precedente: per via del fatto che si è in troppi, e che ci sono a volte trasferte piuttosto lunghe, si pensa a preservare le energie. Questa, tendenza evidente soprattutto qui in Italia: praticare un folto turnover, soprattutto nella fase a gironi, è qualcosa a cui oramai siamo abituati. Superati i sedicesimi, invece, si entra nel vivo. Insomma: è una coppa a cui inizialmente non tutti danno valore, e che si prende troppo alla lontana; solo andando avanti, un po’ per merito e un po’ per fortuna, si prova a capire se si può davvero arrivare fino in fondo.

Come rimediare? Difficile dirlo. La macchina, per quanto (ripetiamolo) non funzionante, è oramai avviata. Di certo, andrebbe diminuito il numero delle squadre, per incrementare la competitività. Andrebbe dato maggior valore economico alla Coppa (in termini di premi alle squadre), magari, andrebbe venduta anche un po’ meglio: il divario tra Champions League ed Europa League, a oggi, è esagerato: il fascino della prima non è neanche lontanamente paragonabile a quello (piuttosto scarso) della seconda, e di conseguenza, la raccolta pubblicitaria della prima è distante anni luce dalla seconda. Questione di prestigio, e di intelligenza: anche la Champions League è stata “allargata” negli anni, vero, ma il blasone, la storia, e anche tutto il marketing egregiamente disegnato attorno alla competizione ha consentito alla Coppa dalle grandi orecchie di mantenere inalterata la propria importanza. Cosa non successa all’Europa League, che capita sia considerata una coppetta di consolazione. Certo, vincerla dà comunque soddisfazione, prestigio, visibilità e la possibilità di giocarsi la SuperCoppa UEFA, ma (e torniamo ai punti di sopra) di divertimento se ne ha, davvero, solo alla fine. All’inizio, sembra addirittura un peso, per gran parte delle partecipanti: come un compito da svolgere, per forza, a metà settimana. Come lavare le tende di giovedì: lo fai perché devi farlo, non perché vuoi. E solo dopo tanti giovedì, ti rendi conto che quelle tende, in fondo, non sarebbero mica così brutte con qualche lucidata in più.

 

Published by
Alex Milone