Quanti sono cinquantasette anni? Tanti, in senso assoluto. Qualcosa di spaventosamente simile a un’era geologica, se parliamo di calcio. Infatti era dal 1960 che la Sampdoria non vinceva, in Serie A, entrambi i derby della Lanterna della stagione. Tanto per capirci: quando quella versione dei blucerchiati piegava il Grifone, nessuno aveva ancora mai sentito parlare dei Beatles e i calcolatori elettronici – definirli computer sarebbe esagerato – più all’avanguardia occupavano intere stanze. Stanze grandi, peraltro. Quest’anno la maledizione ligure è stata spezzata grazie soprattutto a Luis Muriel, autore di due dei tre gol che, tra andata e ritorno, hanno portato sei punti e la totalità del prestigio cittadino alla Doria.
Sul colombiano ci siamo interrogati non più di qualche mese fa, augurandoci che un giorno qualcuno possa costringerlo a spiegarci perché abbia scelto di non essere un nuovo Luís Nazário de Lima (aka Ronaldo) pur avendone le potenzialità. A distanza di tempo temiamo una volta di più sia un banale: perché mangiare è più bello che allenarsi.
Ma tutto ciò – pur rendendo il tasso poetico della vicenda pari allo zero o quasi – non riesce a togliere la magia dell’annata che il numero nove della Samp sta vivendo quest’anno. Dieci gol in ventotto partite fanno ben sperare agli ammiratori del colombiano che quest’anno Luis possa battere il suo primato di sempre (undici gol nel 2012/2013, a Udine) e consolidarsi definitivamente come l’attaccante di talento che spesso ha mostrato di saper anche essere. E se è vero che abbandonerà Genova a fine stagione come teme Giampaolo, va anche detto che il suo potrebbe essere un addio dolcissimo perché i due derby vinti su due che ha portato in dote alzano enormemente il livello glicemico della narrazione di Muriel, perlomeno di questa sua parentesi blucerchiata.
All’andata aveva optato per la soluzione di potenza in un contesto in cui gli si richiedeva solo una finalizzazione pura. Ieri sera l’ex Lecce ha invece griffato la sfida con un tiretto chirurgico tanto preciso quanto lento e inesorabile, giunto alla fine di un’azione da avvoltoio professionista con tanto di furto con scasso perpetrato agli ingenui avversari di serata. Nel suo destro liftato c’è tutta la morbidezza che Muriel sa esprimere su un campo da calcio, una rotondità piacevole e sempre in ritmo col gioco, a differenza di quell’altro tipo di rotondità ventrale per cui viene generalmente preso a esempio.
Gol decisivo e peraltro giusto, guardando all’economia generale della partita, perché questo derby non è stato una bella partita fin troppo a lungo e, alla fine, l’ha vinto l’unica squadra che ha dimostrato un certo interesse nel giocarlo e nel provare a prendere i tre punti. Questo Genoa è ancora troppo malato per essere vero, la sostituzione in panchina è stata per ora solo un palliativo per una compagine che, è palese, fatica enormemente a trovare le giuste motivazioni per dare battaglia al massimo delle sue possibilità. Che questa partita sia un campanello d’allarme, infatti: se il Grifo non sputa anche l’anima in un Derby della Lanterna – probabilmente il più sentito d’Italia e certamente l’appuntamento calcistico dell’anno a Genova – pur non avendo obiettivi di classifica da perseguire allora c’è da preoccuparsi seriamente. Preziosi si faccia due domande. E possibilmente si dia delle risposte diverse da quelle che si dà di solito, ecco.
Dall’altro lato, Ferrero gode, sfonda la stratosfera e regala i soliti siparietti di gusto discutibile. Però, nonostante il campo gli abbia dato ragione, le sue orecchie rimarranno probabilmente sorde al grido di dolore post gara di Giampaolo, che già lamenta un esodo estivo con conseguente rifondazione che in realtà è paradossalmente il marchio di fabbrica di Preziosi. Perché la sensazione predominante al termine di questa sbornia (stra)cittadina è che, andando avanti così le cose nel capoluogo ligure, davvero il Derby della Lanterna rischia di essere l’unica ambizione stagionale possibile per le genovesi.
Un po’ dispiace ma è il calcio di oggi. In definitiva è l’ennesimo esempio (stavolta al retrogusto di pesto) dell’eterno girotondo a cui danno vita questi concetti, che si rincorrono in continuazione ma non si toccano mai. Però è così: guardando alle genovesi ci si chiede sempre dove potrebbero arrivare se potessero/volessero/riuscissero a mantenere un minimo di continuità tecnica. Poi però tocca rispondersi da sé dopo tre secondi che è impossibile, visti i due presidenti e il tipo di gestione scelto.
Mah…