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Perché a Roma il derby è un’altra cosa

Marco Iacobucci EPP / Shutterstock.com

Come al solito, il derby di Roma è partita a sé. Come al solito, qualcuno avanza un pronostico e il derby di Roma, puntualmente, lo smentisce. E se c’è ancora qualcuno che si chiede il perché, proviamo a rispiegarlo. Roma è, sì, una città spaccata in due nel tifo. Roma è, sì, una città in cui la rivalità non si limita alle chiacchiere da bar. Roma è, soprattutto, una città che non vince spesso, e forse questa caratteristica è sia causa, sia effetto della grande rivalità tra le due squadre che ospita.

Fin dall’inizio delle loro storie, Roma e Lazio hanno cercato di prevalere una sull’altra, perfino nell’importanza, e nell’età, delle rispettive esistenze. Dal dibattito su chi è nato prima, e di conseguenza sul perché si è scelto un nome piuttosto che un altro, si è finiti (e si finisce, sempre) per scadere nelle chiacchiere quotidiane da bar, che si infiammano nei giorni prima dei due derby stagionali. Che possono diventare quattro, come quest’anno, che giallorossi e biancocelesti si stanno affrontando in Coppa Italia, e allora tutto si raddoppia: gli sfottò, le polemiche, i programmi in radio, gli articoli sui giornali e sui siti di parte. Tutto, il doppio. Tutto più grande, ma non più pesante. Perché Roma, di calcio e di rivalità, ci vive. Da sempre. Ma ci vive davvero: prendete, per esempio, il paragone con il derby di Milano, in termini di giocatori scambiati tra le due squadre: impietoso. A Milano, si cambia sponda (fin troppo) facilmente. A Roma, deve essere un’eccezione, un qualcosa che comporta un perdono (da parte della tifoseria) e una catarsi: se hai difeso l’una, per difendere l’altra devi prima purificarti. Poi ne parliamo.

No, fidatevi, che qui non si scherza: questo è un discorso vero, che va oltre il tifo organizzato e popolare. Prende addirittura piede in dirigenza: avete fatto caso a cosa successo, per esempio, con la questione stadio? La Roma ha trovato l’accordo con la giunta Raggi per costruirlo a Tor di Valle. Tempo quanto, mezza giornata? Ed è apparso il tweet della Lazio: “ehi Sindaco, preparati che lo faremo anche noi e non pensare di appiopparci quel mausoleo che è il Flaminio”. Questione di rivalità, di orgoglio, di competizione, che va oltre l’aspetto tecnico. Perché la Lazio lo sa che, quest’anno, la Roma è più forte e ha obiettivi diversi. Non importa. Quelle son robe di campo, che magari farà anche male ammettere, ma tant’è: ci si può far poco. La maglia, la storia, il blasone, l’orgoglio, quete son cose che invece hanno un valore diverso, cresciuto nel tempo, rinvigorito con i discorsi fatti in famiglia, e i racconti di parenti e amici di una vita. E non c’è talento che tenga: nel derby non conta, o non conta così tanto. Nel derby, conta solo la voglia di vincere.

Ieri, ha vinto la Lazio, 2-0. Risultato tondo, che lancia i biancocelesti verso la finale, ma occhio alla sfida di ritorno: a Roma, un vantaggio di due gol, non vuol dire nulla. Tutto dipenderà dalla testa, dal cuore, dal carattere, dalle sensazioni, dal vigore con cui entrambe scenderanno in campo. Se tremeranno le gambe oppure no, ecco: quello conterà. Se tremeranno, o a chi tremeranno di meno. E per qualcuno che afferma addirittura che il sentire così tanto una stracittadina limita le ambizioni di ‘internazionalizzazione’ di un club, c’è invece chi è certo che rimanere vincolati al ‘cittadino’ non è per forza un qualcosa che ridimensiona gli obiettivi. Dopo tutto, son due partite, forse quattro, all’anno. E per quattro volte in una stagione, è bello che a Roma, il pallone, abbia un sapore diverso.