Editoriali

A volte ritornano (e non è un male)

Lo sport, inteso come tra i principali ambite della società dello spettacolo, ha realmente senso soltanto se produce storie, identificazione, in un solo termine, immaginario.
In un mondo dominato dalla rapidità e dal vertiginoso numero di informazioni diffuse in ogni momento, è notevole osservare come vi sia bisogno, necessità, urgenza di “aggrapparsi” a figure significative, che sappiano o abbiano saputo attrarre stima e affetto ben al di là della logica, sempre discutibile, del computo di successi. Sarà senz’altro un caso, ma il fatto che, negli ultimi giorni e a livelli diversi, si siano celebrati i cinquant’anni di Roberto Baggio, il ritorno “in pista” di Zdenek Zeman (si legga anche qui) e pure il passaggio friulano (bagnato da una brutta sconfitta) d’un certo Arthur Zico (per tacer del Maradona corso a tifare il suo Napoli al Bernabeu) ci sembra poter dimostrare quanto anche il calcio, che tra gli sport è senz’altro il più sovraesposto in Italia (non è sempre stato così), denunci un’innegabile “fame” di volti spendibili e che la ricerca non possa che rivolgersi a un passato sempre più simile a una specie di periodo aureo.

Storie molto diverse, ovviamente, quelle dei sopracitati, unite però dal comun denominatore dell’autorevolezza, dote assai più preferibile della muscolare autorità (legata al troppo spesso cieco calcolo di trionfi inanellati). Il Divin Codino è l’unico pallone d’oro italiano a non aver avuto bisogno di sollevare coppe di prima importanza (né dei Campioni né del Mondo, contrariamente ai colleghi di trofeo Rivera, Rossi e Cannavaro): di lui si ricorda la classe immensa unita a una struttura fisica d’impensabile fragilità ai quei livelli sportivi.
Tutt’altro che un capopopolo, Baggio doveva tutto il credito riscosso presso compagni, dirigenti o tifosi (quella degli allenatori, per vari motivi, era la categoria meno “amica” del fuoriclasse veneto) solo ed esclusivamente alla sua inusitata qualità tecnica, quel giocare la palla con naturalezza sbalorditiva che, in alcune movenze, ricordava in effetti proprio lo Zico ammirato (per stessa ammissione del vicentino), campione trascorso, anni prima, da Udine, per una delle più incredibili favole del calcio moderno (uno dei calciatori più forti al mondo che approda a una provinciale: fenomeno irripetibile). Anche in quel caso non vi furono vittorie concrete (ma ci volle il primo Ronaldo, nel 1997, per superare la media gol a partita per un calciatore straniero al debutto in A), benché O Galinho in patria e non solo qualcosina avesse raccolto: ai fautori della superiorità pallonara europea sul Sudamerica, oltre a ricordare la razzia di talenti da parte dei club del Vecchio continente, basterebbe rammentare il 3 a 0, perentorio e inappellabile, col quale il Flamengo regolò il Liverpool (sì, quel Liverpool imbattibile in Europa) nell’Intercontinentale 1981.

Friulano di Rio, Zico in comune con Baggio aveva la tendenza a privilegiare i fatti sulle parole, benché la leadership fosse assai più pronunciata: lo dimostra la successiva carriera da buon allenatore, tra club e nazionali. Uomini di sport usi a non alzar la voce, consapevoli di come gridare sia, sempre e comunque, l’arma di chi si sente debole. E arriviamo all’altro “carismatico dai toni bassi”, Zeman, senz’altro il più discusso, ma (per chi scrive) non discutibile, di questo peculiare terzetto di ritornanti. Ci e vi risparmiamo la giostra luogocomunista circa la carriera “incompiuta”, così come non amiamo neppure gli adoratori per partito preso. Figura ricca di sfaccettature e chiaroscuri, quella del boemo non è una storia priva di inciampi: l’infallibilità non è di questo mondo e i fallimenti di Napoli e Roma (al secondo passaggio, ma non sono gli unici) dimostrano che non esiste mai l’allenatore perfetto.

Di certo, il numero di spettatori ai prossimi allenamenti del Pescara (specie dopo la manita di ieri inferta al Genoa) rende l’idea più di mille articoli, così come il riconoscimento planetario tributato a Baggio (tra gli italiani successivi, forse solo Buffon è paragonabile, con Pirlo buon terzo). In un calcio in cui l’imperativo categorico sembra quello di urlare più forte, vedere che certe figure a volte ritornano non può che far piacere.

Published by
Igor Vazzaz