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La Lazio è esattamente dove merita di stare (più o meno)

Marco Iacobucci EPP / Shutterstock.com

Ogni anno capita di interrogarsi sulle vicende della Lazio e sul reale livello della compagine biancoceleste. Ogni santo anno. In estate ci chiediamo se sarà un annus horribilis tipo quello passato, coi capitolini in grado di chiudere appena all’ottavo posto, a quota 54 punti. Oppure ci domandiamo se i pianeti possano allinearsi nel modo corretto e donarci una versione delle Aquile capace di arrivare terza e sfiorare addirittura la seconda piazza, come nel 2014/2015. La verità è che è impossibile capirlo a scatola chiusa.

Quest’estate, per esempio, il mancato arrivo di Bielsa, la conseguente tempesta scatenatasi e il ripiego sul traghettatore-di-fiducia-che-forse-traghettatore-non-è Simone Inzaghi minacciava di restituire un fosco ritratto della formazione di Lotito. La campagna di mercato, al di là del solo Immobile, poi pareva essere la classica pietra tombale che cade rumorosamente su una situazione già complicata, sigillandone ogni possibile bocciolo d’ambizione.

E invece: Simone Inzaghi riesce a trovare il giusto ascendente sul gruppo; il blocco storico ricomincia a rendere come due stagioni fa, Immobile si inserisce alla perfezione e rientra persino il fastidioso caso Balde Keita. Insomma, in tre parole, la Lazio va. Non proprio come due anni fa, perlomeno non così in alto (complici anche un’Inter rinsavita con Pioli, un’Atalanta strepitosa e un Napoli decisamente più vivo di quello della seconda stagione di Benítez), ma attestandosi comunque con pieno merito come una serissima pretendente all’Europa League, in quella che probabilmente è la perfetta dimensione di questa rosa.

Del resto è lo stesso campionato biancoceleste a confermare la tesi: la Lazio ha sempre faticato e tendenzialmente perso – di solito giustamente, peraltro – quando si è trovata di fronte a squadre che la precedessero in classifica, a squadre più attrezzate e ambiziose o, banalmente, più blasonate. Ecco, tranne che per il doppio 1-1 maturato sia col Napoli sia nel ritorno col Milan e le vittorie contro Fiorentina e Atalanta (a cui andrebbe in un certo senso messo un asterisco, essendo arrivata alla primissima giornata) i capitolini hanno perso tutti gli altri scontri diretti. Al netto di una sofferenza acutissima nel doppio confronto col Chievo (un punto in due gare), il campionato biancoceleste è però stato un torneo fin qui notevolissimo, con gli uomini di Inzaghi tendenzialmente sempre in grado di superare – e in qualche caso triturare – l’avversario di medio/basso calibro di turno, fatta salva l’eccezione clivense di cui sopra naturalmente.

La morale è presto fatta: molto bene contro i bassifondi, decisamente bene versus il ceto medio, quasi sempre male di fronte alla classe dominante. Un’andatura di questo genere non può che indicare una chiara appartenenza (quasi genetica) alla lotta per la zona Europa, anche se quella meno nobile. Quindi più di un’aura mediocritas che faccia rima con un semplice vivacchiare ma ancora nettamente meno di quanto servirebbe per sognare le paillettes della Champions, con la naturale conclusione verso le stimolanti acque popolate da chi lotta per il podio ma per ora ne rimane al di sotto e da chi, invece, vede i posti che danno accesso all’Europa League come proprio naturale territorio di caccia.

Là, in un suo personalissimo limbo che, oggettivamente, rappresenta al meglio la dimensione che la Lazio di Lotito ha attualmente.