Editoriali

Ti chiedo scusa, Marco

Ogni tanto nella vita bisogna fare ammenda e confessare di aver sbagliato. Ho sempre stimato Marco Verratti per il suo modo di interpretare un ruolo che, negli ultimi anni, è diventato sempre più monopolio di calciatori atletici e dal fisico possente, convinto che ormai fosse un requisito fondamentale per fare la differenza in quella zona di campo. Tuttavia non l’ho mai ritenuto un potenziale fuoriclasse, proprio per una questione di collocazione tattica sul terreno di gioco: troppo leggero per poter fare da diga davanti alla difesa, poco propenso agli inserimenti per diventare una costante minaccia anche nella metà campo offensiva. O almeno, così credevo.

Il Marco Verratti visto ieri sera contro il Barcellona, però, è tra i primi tre centrocampisti al mondo. Mai una giocata banale, con l’occhio sempre sulla propria verticale per servire gli inserimenti dei compagni, corsa, sacrificio, collante tra centrocampo e difesa e assist man in occasione del gol che ha spaccato in due la partita. Tutto questo in soli 90 minuti, da un giocatore classe 1992 che gioca come se quel palcoscenico lo vivesse da quindici anni. Non me lo sarei onestamente mai aspettato, ma poche volte come ieri sera sono stato contento di aver commesso un errore di valutazione. Un plauso va fatto anche a Unai Emery, che ha trasformato una squadra sostanzialmente inconcludente – almeno quando contava per davvero in Champions – in questa macchina da pressing e geometrie, ridando linfa nuova a calciatori che ultimamente sembravano non essere a proprio agio. Matuidi, per esempio, liberato dal ruolo di diga davanti alla difesa e adesso più propenso ad attaccare la profondità sfruttando le lunghe leve e quel fisico da centrocampista moderno di cui parlavo prima; per non parlare di Cavani che, avvicinato nuovamente alla porta grazie all’addio di Ibrahimović, è tornato a essere quel mostro visto in maglia partenopea.

Ripensare a quanto sarebbe stato utile questo Verratti in maglia azzurra l’estate scorsa non credo sia di focale importanza, ed è un tema che ieri sera ho ritrovato frequentemente sui social: chiaro che sarebbe stato un upgrade (almeno a livello tecnico) rispetto a Giaccherini, ma non è esattamente il prototipo di interno di centrocampo voluto da Conte. Fermo restando che Verratti, a questi livelli, non aveva mai giocato e quindi è tutto da dimostrare che, nel giugno scorso, avrebbe tirato fuori dal cilindro prestazioni come quella di ieri sera. In ottica futura, invece, è fuori dubbio debba essere il calciatore attorno cui costruire la mediana azzurra del domani; e poco importa che, negli ultimi sedici metri, sia storicamente poco efficace. Potrà migliorare in futuro – è palese come manchi anche un po’ di fiducia nelle proprie doti di finalizzatore – ma proprio ieri ha dimostrato come si possa fare la differenza anche senza segnare.

A Parigi sognano di poter arrivare finalmente in fondo dopo anni di delusioni nella fase a eliminazione della Champions, mentre credo che in Catalogna debbano fare autocritica per aver gestito nel peggiore dei modi una partita che, si sapeva, sarebbe stata molto difficile. Non mi addentro in un’analisi dei singoli errori commessi perché non è questa la sede adatta, ma che sarebbe potuta finire così lo avevo capito sin dalla lettura delle formazioni. Ter Stegen non è un portiere da Barcellona, così come Sergi Roberto e Umtiti sono inadeguati a questi livelli; André Gomes non l’ho mai stimato, ma potrebbe essere un mio limite, mentre Busquets senza due fenomeni al suo fianco è un giocatore mediocre. Considerando che Iniesta non potrà essere eterno e i tre davanti non sempre possono fare la differenza da soli, non sarebbe stato meglio puntare almeno su Rakitić, uno che ha già dimostrato qualcosa a questo livello?

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Alessandro Lelli