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Foto: Roberto Bregani / Fotosportit per gentile concessione Media Bin FIR

Inizia oggi pomeriggio il Sei Nazioni di rugby.

La prima promessa da parte nostra non è che lo seguiremo (ci mancherebbe, lo facciamo da anni) ma che il punto di vista sarà meno italocentrico possibile: non è esterofilia e non ci distingueremo tanto per, ma ci sembra il modo più sincero di onorare uno dei tornei più antichi del mondo dello sport.

Essere, nei limiti del possibile, imparziali non esclude un occhio di riguardo per l’Italia (inviati allo stadio, formazioni, approfondimenti, titoli) ma parlare anche e soprattutto del Sei Nazioni nella sua globalità: troppo spesso, pure team di alto livello come Inghilterra, Irlanda e Galles ottengono solo un trafiletto nelle pagine finali di un quotidiano, una flash quasi invisibile.

No, noi ci vogliamo essere. E ci saremo per il Sei Nazioni tutto, quest’anno a detta di tanti addetti ai lavori il migliore degli ultimi anni.

Come livello (ricucito, dopo il disastro della Coppa del Mondo 2015, il gap con l’Emisfero Sud), le grandi d’Europa si sfidano per vincere, battere rivali storici e, nel caso dei giocatori delle Isole Britanniche, giocarsi un posto dei Lions. Destinati in estate al tour della Nuova Zelanda, a sfidare quegli All Blacks a fine 2016 battuti per la prima volta dagli irlandesi.

Reduce dal “cappotto” dell’Inghilterra sull’Australia ma anche dall’exploit azzurro sul Sudafrica, l’ovale del Vecchio Continente celebra – come ogni anno anno ma mai come quest’anno – sé stessa e la sua capacità di migliorarsi e rilanciarsi.

Noi ci siamo, dall’inizio sino alla fine.