Editoriali

Molto rumore per Diego

Calcio e teatro: se ne potrebbe scrivere all’infinito come, del resto, per le altre innumerevoli connessioni tra pelota e arti espressive. Si pensi alla letteratura, al cinema e, spingendoci oltre il mero ambito della rappresentazione, pure alla fotografia, alla pittura, specie se declinate in termini non strettamente didascalici.

Al calcio, e a un artista del cuoio in particolare, quello che per molti potrebbe definirsi il calciatore per eccellenza, sarà tributata, sabato prossimo, una serata attesissima che coinvolgerà uno dei più celebri e importanti templi dell’opera lirica mondiale, il teatro San Carlo di Napoli. Si tratta di Maradona Live “Tre volte 10”, allestimento firmato da Alessandro Siani ed esplicitamente costruito addosso al capitano del primo scudetto partenopeo: quest’anno, si celebra infatti il trentennale di quel successo bellissimo e “impossibile” che lo stesso Pibe definì vittoria più importante del mondiale messicano conseguito con l’Argentina l’anno precedente. Serata anch’essa storica, quella di sabato 16, per l’unica data mondiale (così dal sito del teatro: siamo sicuri?) di quello che si preannuncia un autentico evento: tutto esaurito in appena due giorni, nonostante i biglietti non esattamente a prezzo popolare (330 euro per le poltronissime, 66 le balconate).

Inutile dire come la città campana attenda in gloria il ritorno del figliol prodigio: nei giorni passati, non sono, però, mancate le voci dissonanti di chi ha accolto l’operazione con un certo scetticismo, quando non, addirittura, con aperta ostilità. Da Francesco Canessa, storico soprintendente del San Carlo e figura autorevolissima della lirica mondiale, a Roberto De Simone, non meno importante compositore e regista teatrale, sono molteplici gli interventi che hanno stigmatizzato l’iniziativa. L’asse argomentativo dei contrari verte, grossomodo, sulla sacralità del luogo, insinuando come il San Carlo possa essere “macchiato” da un’operazione non all’altezza, motivata da una mera questione di tornaconto economico.

Altri pareri discordi, a nostro avviso più stimolanti, puntano il dito contro la carente politica culturale relativa agli spazi scenici napoletani, affermando che non sarà certo un’occasione come Tre volte 10 a mutare le condizioni di sussistenza d’un teatro importantissimo, ma, come molti luoghi similari, in aspra difficoltà sotto il profilo dei bilanci: è questa l’opinione del sociologo Domenico De Masi, cui fa eco il musicologo Pasquale Scialò, che sottolinea come non si tratti di uno scandalo, ricordando il celebre caso del concerto dei Pink Floyd a Pompei.

Da amanti dello sport e, parimenti, del teatro, tendiamo a capire poco le ragioni di chi rivendica la sacralità del luogo scenico: da un lato, perché il concetto stesso di sacro include e richiama quello, complementare, della dissacrazione; dall’altro, perché ci pare sempre rischioso e controproducente erigere steccati aprioristici tra discipline e ambiti, specie se basati su mere questioni di presunto lignaggio. Potremmo ricordare come solo negli ultimi cinquant’anni l’opera lirica, da arte popolare e patrimonio condiviso, sia divenuta, con poche eccezioni, pertinenza esclusiva di ceti abbienti e classi “colte”, spesso attratte da questioni di mera mondanità; o come un tempo, all’interno dei teatri in quanto luoghi di vero intrattenimento, si potesse mangiare in sala e, nei foyer, giocare d’azzardo. Il teatro come luogo vivo, pulsante, nel bene e nel male, al di là delle categorizzazioni basate su un principio di immediatezza comunque discutibile.

Certo, che la responsabilità artistica della serata sia stata affidata a Siani e l’accompagnamento musicale al rapper Clementino può anche farci storcere il naso, ma ciò non può mettere in crisi la liceità di un’operazione che sposa, di fatto, due grandi simboli della città campana, matrimonio peraltro nient’affatto inedito. Nel 2010, fu proprio De Simone a portare, sulle tavole del San Carlo, El Diego – Concerto n. 10, un’opera articolata e ambiziosa (musiche riprese da Niccolò Paganini, regia dello stesso De Simone) che ricollegava le profonde matrici mitiche e mediterranee della cultura cittadina con il più potente simbolo popolare che Napoli abbia conosciuto nell’ultimi trentennio. In quell’occasione, Dieguito non figurava fisicamente in scena, ma il ponte tra due realtà non così distanti, a nostro avviso, come teatro e calcio era ben esplicito e non pareva rappresentare un problema per nessuno. A meno che la questione non sia, oggi, relativa ai soggetti coinvolti: il che potrebbe pure essere plausibile, ma, in tal caso, si dovrebbe avere il coraggio di sostenerlo e argomentare compiutamente la posizione.

Quello di cui siamo sicuri è che, comunque, dalla realizzazione di Tre volte 10, le sorti reali del San Carlo trarranno un vantaggio assai limitato, se non addirittura nullo, e ciò prescinde assolutamente dalla qualità del progetto: i teatri, per funzionare, risollevarsi, ricuperare un’autentica ragione d’essere non hanno bisogno di trovate (in questo, gli oppositori allo spettacolo di sabato han ragione da vendere), ma di reale progettualità, fatta di competenza unita a risorse, di immaginazione unita a coraggio; somma di qualità che, purtroppo, sembra difettare del tutto all’epoca che viviamo.
In ogni caso, que viva Diego, che!

Published by
Igor Vazzaz