Editoriali

Il culo di Sarri

Il giochino del paragone tra Arrigo Sacchi e Maurizio Sarri s’è fatto in abbondanza, specialmente lungo l’arco del primo anno del suo Empoli in Serie A, due stagioni fa. In particolare, ci si è sbizzarriti quando si parlava di un possibile approdo a Milanello da parte del tecnico toscano. Poi, invece, Sarri è finito all’ombra del Vesuvio e la questione è un po’ morta lì, forse perché il materiale per continuare con l’artifizio retorico era un filo inconsistente al di là delle umili origini provinciali (in senso calcistico), dei pochi capelli e della ricerca spasmodica del risultato attraverso il bel gi(u)oco.

Tuttavia, da ieri sera, l’aspirante teorico del dualismo Sacchi-Sarri può aggiungere un altro aspetto alla conta delle caratteristiche che accomunano i due tecnici e cioè l’elemento del culo (per dirla con Gene Gnocchi). Un fattore intangibile, direbbero gli americani. Intangibile ma decisamente utile, ribattiamo noi. Il fatto è che vincere al minuto 95 con un gol di un difensore centrale già di per sé sarebbe qualcosa di particolare, farlo in rimonta, con un giocatore all’esordio stagionale dopo mille tribolazioni fisiche e dopo aver disputato una partita al di sotto delle proprie possibilità è ancor più rimarchevole.

Certo, non si può tacere del giallo esagerato che Di Bello ha rifilato senza alcun motivo a Silvestre, causandone l’espulsione per doppia ammonizione, così come anche il recupero eterno male non ha fatto ai padroni di casa. Ma, fin qui, si parla solo di episodi arbitrali gestiti malissimo che hanno avvantaggiato il Napoli e, certamente, non hanno di per sé stessi ribaltato il risultato dallo 0-1 iniziale al 2-1 finale. E, a volerla dire tutta, il punto non è tanto che l’arbitro abbia sbagliato completamente la valutazione di quel paio di episodi decisivi nella partita (e nemmeno di quelli e basta, tra l’altro). Il punto è che il Napoli ha saputo usufruire al meglio di questi doni che la buona sorte – dotata stavolta di fischietto – gli ha fatto per portare a casa l’intero bottino.

Ci è arrivato di forza, senza il supporto di una manovra particolarmente efficiente ma coi nervi e col cuore di un ensemble unita e compatta verso l’obiettivo. Per una squadra che ambisce a lottare e vincere lo scudetto questo tipo di atteggiamento è a dir poco fondamentale perché non è pensabile cogliere bersagli grossi senza capitalizzare anche tutte quelle situazioni in cui non riesci a eguagliare o, meglio, superare il tuo standard di prestazione. E spesso e volentieri abbiamo rimproverato al Napoli questa sua allergia al ragionamento da grande cinica, questa sua incapacità di vincere senza meritarlo totalmente.

Attenzione, qui non si sta facendo un’apologia del risultatismo. Qua si sta semplicemente parlando di realtà e di costruzione di una mentalità. Perché risultatismo sarebbe ignorare la prestazione degli Azzurri per concentrarsi esclusivamente sul fatto che hanno portato a casa i tre punti grazie a due enormi sviste arbitrali e solo a quelle, magari nascondendo molto male un certo tipo di sorriso obliquo sotto i baffi. Parlare invece del fatto che si è riuscito a vincere sfruttando gli errori arbitrali è invece segno di una mentalità finalmente nascente che si intravede all’orizzonte. Ancora caotica, ancora magmatica, ancora informe per adesso. Ma finalmente presente.

Se il Napoli di Sarri 1.0 aveva un difetto questo era la mancanza di una mentalità da grandissima squadra, di quelle pronte a vincere sempre e comunque in qualunque contesto. Forse perché i partenopei erano un po’ troppo impegnati a specchiarsi nel loro gioco che pure resta decisamente affascinante (nonché la loro arma principale per arrivare bene in fondo a un campionato) o forse perché al buon Sarri necessariamente mancava l’esperienza in sella a una realtà calcistica di prima grandezza, chissà. Quest’anno, però, dopo un ottobre da incubo e un novembre stitico, la compagine campana pare essere ripartita a spron battuto per rimanere in scia rispetto a Juventus e Roma, magari grazie anche a questa nuova attitudine più pratica che non estetica, senz’altro figlia della stagione passata ma anche dei patimenti dell’autunno 2016. E, confidando nella buona sorte, chissà che non si riesca addirittura a migliorare i risultati dello scorso anno.

Del resto, un po’ di culo non ha mai ucciso nessuno. Anzi.

Published by
Giorgio Crico