Trentatré anni fa. 31 dicembre 1983. Un giorno di sole, quasi caldo, nell’odore invernale della mezza montagna friulana. Dieci chilometri di curve, a scendere, e attenzione ai lastroni di ghiaccio, per approdare in pianura, con la valle che saluta il cielo aperto. Altri chilometri, una dozzina, destinazione Stadio Friuli (impensabili, allora, le polemiche sulla denominazione), per Udinese-Napoli, quattordicesima giornata di Serie A, campionato a sedici squadre (un’utopia realizzata, per qualche anno). Valori in campo ribaltati rispetto all’oggi, come del resto lo era quel calcio, non necessariamente in senso positivo: tra i favoritissimi bianconeri figurava lui, divinità brasiliana per miracolo approdata in quel del Nord-est a suon di carta bollata e minacce (“O Zico o Austria!“, slogan di pallonaro secessionismo quando ancora la Lega era men che pallida realtà). Due stranieri per club, coronamento dell’ossatura italiana: anche questo un segno del tempo che fu; ma, nella fattispecie, che stranieri! Al di là del Galinho, uno che, per chi non lo sapesse, è passato alla storia come O Pelé branco (alla lettera: bianco), due connazionali del calibro di Edinho, libero con licenza di uccidere (svariati gol all’attivo, una buona percentuale su punizione) e Guimarães Dirceu, castigatore di Zoff appena un lustro prima, nel mondiale argentino che rivelò la qualità d’una banda bearzottiana destinata a ben ulteriori successi. Quarto tra cotanto senno foresto, un signore di nome Ruud Krol, elegante difensore tuttocampista, tra le colonne degli olandesi orange di sua maestà Cruijff, due volte vicecampione iridato (’74 e ’78): tale il parterre di immigrati del cuoio.
Finì quattro a uno, per la gioia dello scrivente (allora) bambino: a segno Baron Causio, poi rigore di Zico, un timbro di capitan Bruscolotti a dimezzar le distanze, e la successiva quadratura di Pietro Paolo Virdis, bomber di Sardegna, e Paolo Miano, cristallino talento furlan, per uno dei suoi, non tanti ma bellissimi, gol. Tutti felici, tutti plaudenti, anche i tifosi campani, giacché Udine ospitava, e lo fa ancora, una buona comunità partenopea, ben disposta nel festeggiare comunque una partita bella, ben giocata, coronata da cinque segnature. Poco prima di sera, via a casa, facendo tappa obbligata in osteria, e poi a festeggiare il veglione sansilvestrino.
Perché raccontare un fatto, certo sportivo, ma, comunque, meramente autobiografico, risalente a un pomeriggio di trent’anni addietro? Presto detto: perché le polemiche circa l’opportunità o meno di sospendere il campionato in occasione delle feste natalizie han poco senso, dato che chi si occupa di intrattenimento rinuncia, da che mondo è mondo, a tempi di vita armonizzati a quelli della cosiddetta gente comune. Qualcuno ha già, giustamente, speso parole a favore del Boxing Day britannico, ma una scorsa ai calendari di altri sport praticatissimi dalle nostre parti dimostrerebbe ampiamente come le vacanze di Natale siano un viziaccio tutto calcistico e, nella fattispecie, piuttosto recente.
Fatta salva la sosta nei dintorni della Natività (che comunque, rugby e basket quasi mai rispettano), i calendari degli anni Ottanta non lasciano spazio a dubbi: 31 dicembre 1988, 30 dicembre 1989, 30 dicembre 1990 le ultime occorrenze a ridosso di Capodanno, con buona pace di chi, adesso, perora la causa dei diritti al riposo degli atleti del football assimilato a quello degli studenti. E ci risparmiamo d’impugnare l’argomento, francamente un po’ becero nonché facilotto, dei soldi guadagnati, come se i calciatori fossero ladri e i loro stipendi non regolamentati da contratti (al limite, si dovrebbe sorvegliare sulla trasparenza delle transazioni: ma questo è un altro paio di maniche). Chi lavora nell’ambito del ricreativo, volente o nolente, sa e deve adeguarsi ad avere una vita sfalsata rispetto ai ritmi della quotidianità: vale per i cinema, i bar, i ristoranti, gli impianti sciistici, quelli balneari, i locali notturni. Non si tratta di calcio moderno, quello che ad alcuni fa Skyfo (e pure chi scrive non ci impazzisce), ma di mero buon senso.
La speranza è che chi regge in mano i destini del pallone nostrano possa avere l’accortezza, almeno, di consultare un almanacco.