Editoriali

Boxing Day

Ce lo immaginiamo stanco, Babbo Natale, dopo il giro del mondo in 24 ore. Stanco e con una gran pinta di birra tra le mani, accasciato sul divano ancora con le chiavi della slitta in tasca, e con la tv satellitare accesa nel salotto della sua casa tra i ghiacci. Se l’è meritato, questo boxing day: guai a chi lo disturba, ora. Guai.

Sarà pure finlandese, Babbo Natale, perso nella sua Rovaniemi, ma volete mettere? Il fascino della Premier League è universale, soprattutto considerando che non c’è festività natalizia che tenga: si gioca eccome, anche di 26 dicembre. Nel giorno del nostro Santo Stefano, quando tutti sono alle prese con i chili di troppo rimediati nella lunga settimana che porta al tanto atteso cenone di natale.

Il Boxing day, dunque: cosa tipicamente british, che affonda le sue radici nella storia di questa competizione. Giocare a calcio è da sempre considerato uno svago; ragion per cui, farlo quando la gente ha più tempo libero è considerato e considerabile cosa buona e giusta. Giocarlo, e anche guardarlo: essendo un prodotto “da vendere”, è logico che debba essere confezionato per coloro che lo amano e che hanno tempo da dedicargli. Da qui, l’esigenza di non fermare la competizione nella settimana natalizia: con la gente a casa, c’è più spettacolo. E quando c’è più spettacolo, gli sponsor pagano di più.

Giocare a ridosso di Natale, comunque, è un qualcosa di molto meno anomalo di quanto si pensi. Sappiamo benissimo che negli USA lo sport non si ferma neanche di 25 dicembre: NFL e NBA vanno avanti, questione di tradizione, anche lì, ma soprattutto di spettacolo, oltre che di marketing. Ne siamo consapevoli: viviamo in una fase storica in cui la sponsorizzazione deve trarre il massimo profitto in ogni circostanza; no? E mai come nel periodo di Natale si esalta l’epoca del consumismo, con la frenesia dei regali da fare, e del cibo da divorare.

Inoltre, tenendo da parte il mero aspetto economico, e spostando il discorso sul fascino che il boxing-day ha sugli appassionati, pensiamo un secondo a cosa voglia dire sentire insieme la competizione, viverla a casa con i parenti, pranzare tifando la propria squadra con la neve fuori e l’alberone illuminato a festa accanto alla tv; sarà banale, ma anche maledettamente bello. Semplicemente bello. E proviamo anche a non imbarazzarci nel pensare ciò.

In sostanza, chiudiamo il discorso ricordando che, ci piaccia o no, oramai il calcio è un’industria: campioni strapagati, stadi con i nomi delle grandi multinazionali, pubblicità in ogni angolo. È così, tutto vero. E per quanto sia vero anche che il calcio nostalgico resti più passionale e romantico, è ancor più vero che il mondo va avanti, e bisogna adeguarsi ai tempi che corrono. Questo pallone rotola su campi venduti al miglior offerente? Sì. Ma se lo spettacolo vale il prezzo del biglietto, se a conti fatti ciò che guardiamo ci diverte e ci appassiona, forse non è proprio un’eresia sussurrare che, in fondo, ci può può perfino andare bene così.

Published by
Alex Milone