Continua il viaggio alla ricerca dei nuovi talenti del calcio di Lega Pro. Torniamo a parlare del Girone A: dopo avervi presentato il centrocampista del Piacenza Saber Hraiech, quest’oggi tocca a Claudio Santini, attaccante classe 1992 in forza al Pontedera. Dopo una stagione da protagonista in Serie D, con la maglia del Montecatini Valdinievole, Santini è stato ingaggiato dai granata durante il mercato estivo e non sta tradendo le attese. Il calciatore toscano è un attaccante vivace, che fa della velocità e della grinta le sue doti principali. I suoi guizzi gli hanno permesso di essere il capocannoniere della squadra granata, dall’alto dei suoi 8 gol.
Ciao Claudio. La prima domanda è d’obbligo: quando hai cominciato a tirare i primi calci a un pallone?
Ho iniziato molto precocemente, a cinque anni, seguendo le orme di mio fratello maggiore. Entrambi eravamo iscritti a una scuola calcio di Firenze, la Desolati. Per i miei genitori era più comodo portarci all’allenamento lo stesso giorno, così venni inserito nel gruppo di mio fratello, insieme a bambini che avevano tre anni più di me. Con il passare del tempo, finii nello stesso gruppo di quelli della mia età. Poi, a undici anni, arrivò la chiamata della Fiorentina: ero letteralmente euforico, una delle maggiori emozioni che il calcio mi abbia dato fino a questo momento.
Quanto è stata importante la tua famiglia per il tuo percorso di crescita?
Moltissimo. Mio fratello, come ti dicevo prima, è stato colui che mi ha dato la spinta iniziale. Gioca ancora a calcio, in Eccellenza in una squadra fiorentina (il Porta Romana, ndr), e secondo me avrebbe potuto avere anche una carriera migliore. Credo che, a differenza mia, abbia avuto semplicemente meno occasioni. Anche i miei genitori hanno svolto un ruolo fondamentale: mi hanno sostenuto fin dall’inizio, facendosi in mille per farmi giocare a calcio e per farmi andare a scuola (e all’Università), anche nei momenti in cui non riuscivo bene a conciliare le due cose.
Parlavi di Università. Non è abituale vedere un calciatore che, parallelamente alla sua carriera, porta avanti un percorso di questo tipo.
Per me è sempre stata una priorità, sono sincero. Mi sono laureato in Scienze Motorie ed è un traguardo di cui vado fiero. So bene che la carriera di calciatore non può durare in eterno, per cui sentivo il bisogno di possedere un’àncora di salvezza.
A Montecatini qualche tifoso ti chiamava Big-Mac per la somiglianza – nelle movenze – con Maccarone. Ma c’è un giocatore a cui ti ispiri maggiormente?
Sono un attaccante atipico, non forte fisicamente ma che riesce a sopperire con l’esplosività, la velocità e la combattività. Un calciatore a cui mi ispiro è Carlos Tevez, che secondo me possiede tutte queste doti, pur non avendo un fisico imponente. Un altro calciatore che ammiro è Lapadula: non lo vedi mollare mai, corre su tutto e non si dà mai per vinto.
In quale ruolo ti senti più a tuo agio?
Sicuramente da seconda punta. Come caratteristiche credo che sia il ruolo più indicato: mi piace sfruttare le seconde palle, gettarmi negli spazi, dare imprevedibilità al mio gioco. Ho giocato anche da trequartista, ma nel calcio di oggi stare tra le linee significa anche difendere, e per farlo al meglio bisogna essere ben strutturati fisicamente. Adesso a Pontedera vengo spesso impiegato come centravanti: è un ruolo a cui mi sto abituando e che comunque mi piace, perché mi permette di stare nel mio “habitat naturale”, l’area di rigore.
Qual è stato l’allenatore che ti insegnato di più e che ricordi con piacere?
Di tecnici bravi ne ho avuti tanti. Ricordo con piacere Federico Guidi della Fiorentina, che mi ha allenato per due-tre anni nelle giovanili viola e mi ha fatto crescere davvero molto, sia a livello personale che calcistico. E poi l’allenatore del Montecatini dello scorso anno, Giovanni Maneschi (adesso al Ponsacco, sempre in D, ndr). Con lui si è instaurato un rapporto solido, ci sentiamo spesso anche adesso che le nostre strade si sono divise. Mi ha trasmesso serenità e fiducia in me stesso, le cose di cui avevo bisogno dopo la discesa in D.
Hai un sogno che custodisci nel cassetto fin da quando hai cominciato a giocare a calcio?
Il mio sogno è sempre stato quello di giocare in Serie A con la squadra per cui faccio il tifo, il Milan. È un sogno molto lontano dall’avverarsi, ma mai dire mai. Ti racconto un aneddoto: quando ero piccolo ero così innamorato del calcio e dei rossoneri che ogni notte dormivo abbracciato a una pallone del Milan.
Nella tua carriera hai militato, fino a questo momento, solo in squadre toscane. È più un caso o una scelta?
Forse è solo un caso, ma alla fine le offerte più concrete sono venute dalla mia regione. C’è stata solo un’occasione – dopo che mi ero svincolato dal Borgo a Buggiano – in cui avrei potuto anche “emigrare”: mi cercava il Cesena, che mi avrebbe poi mandato in prestito al Santarcangelo. Ma, spinto dal mio procuratore di allora, decisi di accettare l’ingaggio propostomi dall’Empoli. Col senno di poi non si rivelò una scelta azzeccatissima, anche perché a Gavorrano – dove fui dirottato in prestito – la stagione fu abbastanza fallimentare e retrocedemmo. E io finii fuori dai progetti della dirigenza azzurra.
Dopo Gavorrano, altre due parentesi in C con le maglie di Lucchese e Prato.
Esperienze non molto esaltanti, purtroppo. A Lucca avevo molte aspettative: pur non segnando, cominciai bene nelle prime dieci partite, in cui venivo abitualmente schierato come trequartista. Non c’era però molto feeling con l’allenatore Pagliuca, e con passare del tempo persi un po’ di sicurezza in me stesso e le mie prestazioni, inevitabilmente, ne risentirono. A gennaio, a pochi minuti dalla scadenza del calciomercato, passai al Prato. Anche lì la situazione, un po’ per colpa mia un po’ per colpa di allenatore e società, non fu idilliaca.
Sei dovuto scendere di categoria, con il Montecatini Valdinievole, per riscattarti.
Inizialmente, dico la verità, la mia retrocessione personale in D mi pesava molto. Ero dispiaciuto, perché pensavo di poter dire ancora la mia in Lega Pro. Ma a Montecatini ho avuto la possibilità di rinascere, calcisticamente parlando. Grazie a un allenatore e a un gruppo fantastico, cementato durante tutto l’arco del campionato. Eravamo una squadra di amici veri e questo ci dava la forza per scendere in campo più spensierati. Devo molto, se non tutto, alle belle cose fatte la scorsa stagione.
Adesso giochi a Pontedera, una squadra giovane che mira a ottenere l’ennesima salvezza in Lega Pro.
Siamo un gruppo unito, fatto di ragazzi giovani che hanno qualità e voglia di imparare. Il nostro mister (Paolo Indiani, ndr) penso che sia uno dei migliori della categoria, è molto preparato tatticamente. All’inizio ti può sembrare un po’ burbero ma poi ti rendi conto che le cose che fa o che dice sono unicamente per il bene della squadra. Mi sta dando molta fiducia e spero di poterlo ripagare sul campo.
Finora hai totalizzato otto reti, la metà dei gol complessivi del Pontedera. Qual è il gol più bello?
Come fattura, sicuramente quello contro l’Arezzo, una botta da trenta metri. Ma mi piace ricordare anche il gol, a mio avviso, più importante: parlo della rete che ha sbloccato la gara contro il Prato e che ci ha permesso di riprendere il nostro cammino, dopo otto risultati disastrosi. Si è trattato di un gol fortunoso, una spizzata sul primo palo sulla quale non si sono intesi il portiere e un difensore, ma è stato l’inizio della nostra rinascita.
Quali sono le tue aspettative per questa stagione con la maglia granata?
Chiaramente il primo pensiero è raggiungere la salvezza il prima possibile. Eravamo partiti forse con altri obiettivi, ma per adesso, per come si è messa la situazione, è importante pensare una partita alla volta. A inizio anno, a livello personale, il mio obiettivo era di raggiungere la doppia cifra: adesso ci siamo vicini, per cui una volta raggiunto quel traguardo vedrò di porne altri. Comunque ripeto, la cosa più importante è essere utile per la salvezza della mia squadra.
Sulla vostra strada domenica ci sarà la temibilissima Alessandria prima in classifica.
Sarà un match stimolante, anche se difficilissimo. Abbiamo già cominciato a studiarli, perché le partite di questo tipo devono essere preparate in ogni minimo dettaglio. L’Alessandria è una squadra tosta, pronta a punirti in qualsiasi momento e noi dovremo affrontarla senza paura. Certo, rischiando il meno possibile e cercando di sfruttare le poche occasioni che avremo, ma con la sfrontatezza giusta di chi sa di avere al suo cospetto una squadra più forte.
Magari l’occasione giusta per raggiungere quella doppia cifra di cui si parlava prima.
Sarebbe fantastico, ma più per il bene della squadra che per me.