La dura legge del gol
Alla fine l’ha vinta lui. Un Chelsea granitico strapazza 3-1 il Manchester City di Pep in terra ospite rimarcando che il vero leader della Premier è uno solo: Antonio Conte. Il maxi scontro fra titani andato in scena all’ora di pranzo (pardon, cena per la maggior parte degli sponsor del campionato più bello del mondo) ha confermato l’egemonia del gioco del tecnico italiano, basato sul carattere, la concretezza e il cinismo. È la vittoria della barricata e ripartenza, condito da una parvenza di bel gioco dato da un paio di passaggi corti e uno lungo, alternato alle rincorse di un Kanté alla Forrest Gump e alle palle – quadre – di Diego Costa. Contro le mezze se…conde punte dei Citizens poteva esserci risultato più scontato? Probabilmente sì.
L’autorete di Cahill ha rischiato di affossare la squadra e subito dopo l’intervallo Guardiola ha avuto la possibilità di chiudere la partita, ma la fortuna aiuta gli audaci. Non chi schiera undici uomini a specchio andando contro, persino, ai propri dogmi. Anche la Germania, lo scorso luglio, provò a modificare il proprio assetto per sfangare un quarto di finale che sembrava impossibile. La paura dell’azzurro quella volta non prevalse e, per nostra sfortuna, un marcantonio di un metro e novanta gettò alle ortiche un sogno che sembrava materializzarsi minuto dopo minuto. Ma ‘sta volta era diverso. All’Etihad Fabregas non doveva nemmeno giocare e invece ha messo il primo assist per quell’animale da cortile per il pareggio. Da lì la sviolinata.
L’apoteosi del nostro calcio a casa dei padri fondatori. Che meraviglia. E poi poi proprio al mister del tiki-taka, quel movimento sportivo che ha rischiato di lobotomizzare migliaia di appassionati tramite il continuo, ripetuto e noiosissimo scambio di palloni a cinquanta metri dalla porta. L’artefice di quella filastrocca che ha tolto i numeri nove dal prato e trasformato i terzini in ali. Una lezione impartita a suon di palle lunghe e pedalare. Con sostanza. Perché questo è il Chelsea: un gruppo di calciatori completamente ammaliati dalla voglia di vincere che trasmette un allenatore vero, antipatico e per certi versi umile. Non a parole. In campo, dove conta di più.
Non saranno contenti gli esterofili. Pensavano che ormai il calcio si fosse evoluto dal vecchio “difendi e riparti” e invece dovranno ricredersi. A meno che non si torni a giudicare la Premier per quello che è realmente. Una meravigliosa competizione tra squadre di livello internazionale vinta, negli ultimi tempi, da due società che hanno fatto della semplicità il proprio cavallo di battaglia. Il punto in comune con il Leicester dello scorso anno. Un po’ quello che ha fatto per una carriera intera, pure a Londra coi Blues, José Mourinho. Evidentemente serviva altro, un motivatore di diverso tipo. Qualcuno che stesse dalla parte dei giocatori sempre e a prescindere. Un punto di riferimento che facesse ripetere le stesse identiche giocate in allenamento fino alla nausea.
Il cammino è ancora lungo e la fame è tanta. La tavola imbandita, paragone di lippiana memoria, è ancora colma di pietanze. Sono tutti seduti, anche chi, gli anni scorsi, non aveva la sedia. Sull’attenti con le forchette in mano. Musica di sottofondo? Banale, È la dura legge del gol…