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Si celebra questo pomeriggio la festa del calcio. Va in scena (e in onda, in un’infinità di paesi) la sfida tra le due squadre più forti del mondo, o poco ci manca.

Real Madrid-Barcellona, diciamocelo, la stavamo proprio aspettando. E forse se la meritano, dopo giornate di lacrime e commozione per quanto avvenuto dall’altra parte del pianeta, un po’ tutti gli appassionati di calcio.

I pianti, l’onore e gli applausi per una squadra di calcio sparita di colpo, cancellata fisicamente da questa vita ma immortale (o solo in trasferta, come disse qualcuno) ci ha restituito fiducia nella capacità del calcio di unire i popoli. Di creare un legame per e con lo sport, da linguaggio universale qual è; ho visto un’indovinatissima vignetta coi calciatori della Chapecoense accolti e applauditi da quelli del Grande Torino e da quelli del Manchester United del disastro aereo di Monaco di Baviera: mi piace pensare che a quell’applauso si uniscano tutti.

Di ognuno degli uomini – adulti, giovani e bambini – che sognano alla vista di un corpo sferico rotolante; tutti quelli che vivono lo sport come la passione più genuina che c’è.

Di questo senso di fraternità – pur nella tragedia – si aveva bisogno. Troppi gli scandali e anche le polemiche, spesso strumentali, gratuite, fini a sé stesse; l’ultima raffica di notizie in merito viene dall’Inghilterra e racconta del Chelsea di qualche decennio fa: viene voglia di chiudere siti e giornali, per non farsi portare via la magia.

Magia che ci sarà, invece, oggi pomeriggio al Camp Nou. Barcellona e Real si ritrovano una di fronte all’altra, nell’ennesimo Clásico. Se solo il Cholo Simeone è riuscito, dai tempi del Valencia di Benítez, a interromperne l’egemonia a livello di albo d’oro, certo sono e restano le padrone della Liga.

Blaugrana e Merengues incarnano una rivalità che va oltre lo sport, assumendo connotati anche nazionalistici e identitari: non ci voglio leggere ciò che non c’è ma il pensiero va alla tutela delle autonomie opposta a una visione centralistica dello stato, dal dibattito/lotta per l’indipendenza catalana all’eredità di tutta un’esperienza politica. Ecco: concentriamoci sul calcio ma teniamo a mente pure questo. Quando cerchiamo di capire cosa sia il Clásico, così come l’Old Firm e altre sfide di questa portata.

Classifica alla mano, è il Real a condurre i giochi. Zidane, che è tutto tranne che un improvvisato, guida la classifica con 6 punti di distanza dalla rivale storica e più odiata; vincere nella tana del nemico vorrebbe dire tanto, vorrebbe dire tutto. Per esempio, mettere 3 vittorie tra sé e gli altri, ipotecare la supremazia sulla rivale già a dicembre; poi, dare uno scossone al campionato tutto, vista la pressione del solito (e fastidiosissimo) Atlético, oltre che del Siviglia.

I valori in campo non si discutono. Non li puoi discutere, nemmeno coi paraocchi e nemmeno con tutti i luoghi comuni del mondo. Sulla Liga in cui segnano tutti, sul campionato facile e a due squadre, su un calcio troppo offensivo e le difese di burro; stereotipi mandati in soffitta da anni di dominio spagnolo sulle competizioni continentali. E non solo da parte delle fortissime (e ricchissime, oltre che blasonate) Barcellona e Real Madrid, ma anche di altre: in Spagna si gioca il calcio più in voga ed efficace a livello europeo, gli spagnoli hanno messo su il sistema migliori per produrre talenti ma anche squadre.

Tatticamente in grado di giocarsela con tutti, di vincerla sul piano del talento ma anche dell’organizzazione: dalla Liga di quest’anno usciranno – probabilmente – vincitori e finalisti di Champions ed Europea League.

Naturale considerare la sfida di oggi l’apice del calcio, il punto di non ritorno: di meglio non puoi trovare e non ti resta che gustartelo.

Specialmente dopo una settimana così.