Editoriali

L’impazienza cronica della stampa italiana

Leggendo i principali quotidiani italiani c’è un solo denominatore comune in questi giorni: i milioni spesi “inutilmente” nel calciomercato di gennaio. Si parla del Napoli, con i vari Rog e Tonelli, passando addirittura per Higuaín, colpevole di non tirare nemmeno più in porta da qualche partita (senza analizzare il brutto momento dei bianconeri dal punto di vista del gioco, perché i risultati – Genova a parte – sono arrivati).

Tra tutti questi, però, c’è qualcuno che è massacrato più di altri. Faccio riferimento a Gabriel Barbosa, in arte Gabigol, accusato (ma diciamo anche già condannato in terzo grado dal giudice supremo della stampa) di aver disputato soltanto 16 minuti in questo inizio di stagione. Complice la presentazione in pompa magna da parte dell’Inter, con Suning che ha voluto fare le cose in grande, e soprattutto i quasi trenta milioni di euro spesi per strapparlo dal Santos, i quotidiani (e i social) stanno letteralmente massacrando questo ragazzo per non aver ancora convinto Stefano Pioli a schierarlo e, soprattutto, per non essere entrato nel cuore di Frank de Boer. Capisco che nell’era in cui c’è sostanzialmente una notizia al minuto, qualsiasi argomento sia ottimo per accaparrarsi utenti e lettori, tuttavia chi è in questo ambiente da molti anni dovrebbe ormai aver capito che nel calcio, spesso, la prima impressione è quella sbagliata. Specie per giocatori che vengono da ambienti completamente diversi e, quindi, hanno tempi di ambientamento soggettivi da persona a persona. Krasic alla Juventus ebbe un impatto devastante col campionato italiano e, a parte quella parentesi durata qualche mese, è ricordato più per le simulazioni che per altro: e questo è solo un esempio di tanti fenomeni diventati bidoni nel giro di dodici mesi.

Tornando al discorso Gabigol, non credo servisse Nostradamus per capire che non poteva essere altrimenti. Un ragazzo portato in Europa in fretta e furia (perché Suning aveva bisogno di un uomo copertina), dopo aver disputato un intero campionato col Santos e, soprattutto, l’Olimpiade col Brasile. Un atleta abituato ai ritmi blandi del calcio brasiliano, famoso anche per essere per avere difese tatticamente più anarchiche anche rispetto alla media europea, in una squadra letteralmente allo sbaraglio in questo primo scorcio di stagione (qualcuno avrebbe pronosticato l’Inter all’ottavo posto e fuori dall’Europa League a dicembre?) e senza aver la possibilità di giocare in campo internazionale per i vincoli del Fair Play Finanziario. Ho sentito gli stessi discorsi anche per Gerson, un altro talento in erba che inevitabilmente sta compiendo un processo di adattamento al calcio europeo abbastanza controverso, nella piazza più esigente d’Italia e con un ambiente spesso controproducente per i giocatori stessi.

Che cosa avrebbe dovuto fare Gabigol, nato il 30 agosto 1996? Arrivare in Europa a settembre, senza aver fatto la preparazione con la sua nuova squadra, e trascinare l’Inter a suon di gol e assist in posizioni che i nerazzurri non assaporano da quando sulla panchina c’era Leonardo? Nel ruolo in cui anche uno Candreva stava facendo molta fatica? Oppure forse era più intelligente fare come ha fatto il Manchester City, ossia prendere Gabriel Jesus “parcheggiandolo” altri sei mesi in Brasile, per poi portarlo in Inghilterra solo a gennaio? Consci del fatto che il talento che approderà presto alla corte di Guardiola è decisamente più pronto (tecnicamente e mentalmente) rispetto al quasi omonimo nerazzurro, nonostante sia sette mesi più giovane.

In quel ruolo, ossia la seconda punta, ha fallito anche Stevan Jovetić, uno decisamente più abituato ai ritmi del campionato italiano e anche più maturo dal punto di vista anagrafico. Sintomo che l’organizzazione di gioco, purtroppo o per fortuna, spesso è più decisiva di tanti altri fattori: e in questo momento l’Inter rappresenta la confusione più totale nel panorama calcistico italiano. Quindi è quasi un bene che Gabigol non abbia praticamente mai giocato, se non uno spezzone di partita contro il Bologna: perché altrimenti coloro che adesso giudicano il suo “non giocare” si troverebbero molto probabilmente a valutare una serie di prestazioni mediocri, minando la fiducia di un ragazzo appena ventenne.

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Alessandro Lelli