Il Conte senza pace
Giusto domenica scorsa, superando di misura il Middlesbrough, un allenatore italiano si piazzava al primo posto in Premier col suo Chelsea. Un successo meritato, sudato e conquistato sul campo per Antonio Conte che, a circa un mese dai primi chiacchiericci dei media su un possibile esonero, ha deciso di zittire il vociare con tre vittorie su tre, otto gol messi a segno e zero subiti. Un rullo compressore. Da solo in vetta dopo dodici giornate. Non c’è da stupirsi però. I risultati degli ultimi anni non lasciano spazio al caso. Gli Scudetti con la Juventus e la recente esperienza con la Nazionale parlano (meglio) al posto del mister pugliese che si è calato in brevissimo tempo nella realtà londinese. I successi raggiunti oltre manica, abbiamo scoperto negli anni, contano di più. Il calcio vero è da quelle parti, dove girano soldi e campioni. Le contendenti al titolo sono almeno sei, gli stadi non sono ecomostri e l’erba è verde. La malta non sanno nemmeno cos’è. Da lì Sir Conte (che già chiamarlo Sir fa rabbrividire anche i suoi più accaniti fan) ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport, uscita questa settimana, dove racconta la sua felicità per i primi successi stagionali e l’attuale primato. Parla anche di alcuni suoi attuali giocatori, di chi ha sorpreso e di chi ha deluso e poi, dulcis in fundo, risponde così a un paio di domandine beffarde sulla Juve:
“Con l’ottavo monte-salari al mondo deve guardare ben oltre la Serie A. La Juventus ha compiuto investimenti importanti che la collocano tra i club di dimensione internazionale. Nel calcio non c’è nulla di scontato ma se la concorrenza ti vende Higuaín e Pjanić, tutto diventa più facile”.
Dichiarazioni inattaccabili. E un po’ rosicate. Non è più come qualche anno fa, quando il buon Antonio lottava contro i mulini a vento per ottenere Cuadrado o Jovetić. Ora le concorrenti dei bianconeri si scansano (cof, cof) regalando i propri campioni alla prima della classe. Tutti verso Torino per cercare di vincere quella stramaledetta Coppa che lo stesso Conte vinse nel ’96. Da giocatore, non da allenatore. Anche perché, risultati alla mano, la Champions è da sempre una chimera per il tecnico che, anche dal centro sportivo dei Blues di Cobham, non perde occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Il rapporto viscerale con la Juventus lo porta, spesso, ad esternazioni di pancia. Nulla di esagerato, ma al tempo stesso di estremamente irritante nei confronti di chi, ancora, lavora per raggiungere gli obiettivi al suo posto. Le stesse persone che attraverso i risultati maturati nelle ultime due stagioni si sono potuti permettere movimenti di mercato importanti, tramutando la Vieille Dame in un punto di arrivo, non di passaggio. Il progetto abbandonato da Conte è proseguito senza di lui.
Il tasso tecnico si è notevolmente incrementato e la duttilità tattica del gruppo si è potuta apprezzare a pieno. Il cambio della difesa a quattro, il trequartista, il tridente sono tutte alternative venute fuori attraverso la crescita dell’intero ambiente. La scalata nella classifica del monte-salari ne è la conseguente prova. L’aumento di valore di alcuni “gioellini”, poi ceduti, è legato alle prestazioni in Europa, come la finale contro il Barcellona, se pur finita male, e l’ottavo di finale giocato alla pari contro una corazzata come il Bayern. La vittoria, sudata, contro il Siviglia di un questa sera è l’ennesima conferma della presa di coscienza da parte dei calciatori bianconeri di chi realmente sono: professionisti internazionali, capaci di portare a casa il risultato negli incontri più delicati. Rivincite che non si è goduto chi ha avuto la fretta di fare, anzi di strafare. Lo stesso che con cento euro in tasca, nemmeno quest’anno, si è seduto al ristorante buono.
Recentemente ha detto bene Allegri: “Le chiacchiere le porta via il vento, le biciclette i livornesi”.