Editoriali

Un derby a parti invertite

Il derby di Milano è finito 2-2, un risultato che sa molto di fine anni ’90 e di inizio anni 2000, quando i marcatori erano Leonardo, Boban, Bierhoff, Di Biagio e Hakan Şükür.
Altri tempi, altre squadre. Erano due milanesi che facevano parte delle “sette sorelle”, che avevano i migliori giocatori del mondo, che facevano parte di uno dei tre campionati più ricchi del mondo. Che non è esattamente la situazione attuale.

Ma, d’altra parte, il derby della Madonnina qualche spunto lo ha lasciato lo stesso: per esempio, il fatto che Milan e Inter siano due squadre che giocano praticamente in maniera invertita rispetto alle proprie caratteristiche. Cerchiamo di spiegare il concetto.
Il Milan è una squadra tutto sommato giovane, ha un ragazzo di 18 anni a dettare il gioco e far da guardia ai due difensori centrali, ha un solo vero “mastino” a centrocampo e due o tre mezzepunte/mezzali/seconde punte/chiamatele come volete. Dovrebbe essere una squadra votata al possesso palla, al poco equilibrio e alla fase offensiva con sei o sette uomini alla volta, il tutto condito con una spruzzata di scarsa esperienza e poca lucidità. E invece gioca corto, attento, con equilibrio e in contropiede, sfruttando con cinismo le poche occasioni create durante i novanta minuti e sapendo interrompere le linee di passaggio in zona offensiva degli avversari. Manca forse di coraggio, visto che ha la tendenza a chiudersi nella propria trequarti a venti minuti dalla fine in ogni partita in cui è in vantaggio di un solo gol, e questo a volte fa pagare dazio (vedi il gol subito all’ultimo minuto), ma è senza dubbio sorprendente questo insieme di caratteristiche che da una squadra costruita come è il Milan non ci si aspetterebbe mai.

L’Inter, invece, è una squadra con esperienza. Ha giocatori con esperienza internazionale, una età media superiore a quella dei cugini. Ha un difensore centrale titolare del Brasile, l’altro titolare nel Cile bi-campione del Sud America, a centrocampo un fresco campione d’Europa col Portogallo, sulle fasce due come Perišić e Candreva che sono titolari nella Croazia e nell’Italia. Eppure gioca come una squadra presa da bollori adolescenziali: movimenti frenetici, sovrapposizioni, fase offensiva con entrambi i terzini sopra la linea della palla, sette uomini nella metà campo avversaria. Bello, bellissimo, ma se poi Donnarumma la passa lunga a Bonaventura, quest’ultimo fa venti metri palla al piede, la passa a Suso e questo segna cosa dobbiamo dire? Come può una squadra così esperta prendere contropiedi del genere, come anche in occasione del secondo gol? Sono errori, banalità, che ci si aspetta da un diciottenne, un ventenne. Non da giocatori di quasi trent’anni. Pioli avrà il tempo per sistemare le cose, l’equilibrio — nel calcio di oggi — è la componente più importante in una squadra a questi livelli.

Per il momento, però, il pubblico assiste e ringrazia. Dopo anni a San Siro si è visto qualcosa che assomigliava a una partita di calcio vero.

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Francesco Mariani