Editoriali

Müller e quel sassolino del San Marino

Finalmente è venerdì! E non per il fine settimana alle porte, ma per il ritorno della Serie A. Diciamolo, non si vedeva l’ora di veder giocare la propria squadra del cuore. Non ce ne voglia Ventura che, una tantum, seleziona i migliori del campionato per giocarsi un Mondiale in Russia fra un paio d’anni (e per cui tutti faremo il tifo). Però le domeniche senza i propri beniamini proprio non passano. È tutto più lento. Si gozzoviglia tra i canali cercando uno sport di riserva assetati da una sfera che (s)corre su prati o parquet. In apprensione per personaggi che non assaporiamo nostri e che rispettiamo solo perché élite di sport seguiti in tutto il mondo. Ovvio, con le dovute eccezioni.

E ci ritroviamo a benedire lo spezzatino che ci rifila il marketing sportivo. Veder tirare calci a un pallone dal sabato al lunedì è una figata, perdonate il francesismo. Dopo le pedanti partite in azzurro accendere la Tv e sentire le voci dei soliti commentatori già ci fa sentire meglio, a nostro agio. Ci si dimentica subito di quella strana sensazione data da Civoli che con il suo timbro rimarca, e intristisce, l’astinenza da Serie A. Quasi quasi ci troviamo a dar ragione a Müller. Sì, il tedesco che si è lamentato di dover giocare col San Marino. Insomma, lasciatemi nel mio Bayern e chiamatemi solo in caso di necessità. Sono un campione, non voglio rischiarmi un menisco per affrontare nazionali che a stento potrebbero giocare una 2. Fußball-Bundesliga.

Un’esternazione brusca, maleducata e, per certi versi, oltraggiosa. Che l’equilibrio tecnico sia pressoché inesistente in alcuni incontri internazionali è al di fuori di dubbio. Che il calcio sia tutti quelli che lo pratichino, altrettanto. Le parole del campione del mondo hanno fatto scalpore. Detto fuori dai denti, è balzata all’occhio l’insolenza di un personaggio affermato che ha perso l’occasione di fare bella figura di fronte all’intero panorama calcistico esternando un’idea che almeno a tutti è passata per la testa almeno una volta nella vita: perché giocare una partita come San Marino-Germania?

Logicamente, per chi guarda la vicenda con occhio spietato, Müller non ha tutti i torti. Innanzi tutto aumenta il rischio d’infortuni: se gioco una partita in più, anche inutile, posso farmi male. E poi potrei tornare spompo al club, con il quale gioco le più grandi manifestazioni sportive. Sono un professionista, oltre a un patrimonio di una squadra che mi paga profumatamente per dare prestazioni che altri calciatori non sarebbero in grado di mettere a disposizione. Perché devo rischiare?

È qui che la vicenda va vista con gli occhi di Alan Gasperoni, presidente del club sammarinese La Fiorita e tifoso della Nazionale del Titano. Come sottolineato su un post di Facebook, l’incontro fra le due rappresentative ha evidenziato almeno una decina di motivi per cui è giusto asserire che, semplicemente, il calcio è di chi lo gioca. Se per i tedeschi può sembrare superfluo sfidare la piccola Repubblica, per la Nazionale del San Marino è tutto il contrario. Immaginate un piccolo stadio colmo di appassionati che si radunano per vedere la squadra che ha rifilato sette gol al Brasile un paio d’anni fa e spedito l’Italia a casa l’estate scorsa. Vedere da vicino quello strambo di Löw, il mostro Neuer e tutto il resto della combriccola. Uno spettacolo che avvicina anche i più piccoli ai sani principi che può trasmettere il calcio.

Per certi versi è esattamente questa l’essenza del nostro sport. Vedere giocare sullo stesso piano, sulla stessa terra, fenomeni che stanno agli antipodi quasi per tutto l’anno. Sapere che lavoratori qualsiasi, da impiegati a manovali, alla fine della giornata sfideranno i campioni del mondo. E poi alla fine si scambieranno maglie e abbracci di fronte a una piccola folla di gente, la stessa che rispettava la figura di Müller, fuoriclasse intelligentissimo. Solo, però, in quello stupido rettangolo verde.

Published by
Eugenio Cignatta