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Rugby, test match: l’Italia, il ko con gli All Blacks e un futuro tutto da decifrare

La sconfitta dell’Italia contro gli All Blacks nel test match di sabato scorso è solo l’ultima di una lunga serie.

Mai gli azzurri infatti sono riusciti a prevalere sugli attuali campioni del mondo.

Non ci sarebbe nulla di male – in fondo una nazionale storica e blasonata come l’Irlanda ci ha sconfitto quest’anno per la prima volta – se non fosse per il come: progressi ce ne sono stati, ma mai realmente l’Italia ha dato l’impressione di poter trionfare.

47.33 punti di scarto medio tra le due squadre e la partita di sabato non ha cambiato il trend. Unica nota positiva, forse, il colpo d’occhio dell’Olimpico (60.693 presenti); sempre quello, bellissimo e mai scoraggiato: i campioni iridati sono un po’ come il Dream Team del basket nel 1992 e fai di tutto per vederli.

Quanto siamo rimasti in partita? Poco, o nulla: 68-10 e difficoltà estreme in ogni settore di gioco.

L’ennesimo ko contro una top del rugby internazionale non ha mancato di suscitare le solite ironie e perplessità nel mondo dei social.

C’è chi addirittura ha paragonato Parisse ai compagni al San Marino del calcio, nell’ambito della polemica Müller, perennemente sconfitto eppure mai domo. Ma è qui che ci andrei piano: palla ovale e rotonda restano due mondi diversi e allo stesso rugby union manca il radicamento capillare del football in ogni angolo del globo.

L’Italia non è San Marino proprio perché San Marino, nel rugby, non esiste.

Esisterebbe e ne esisterebbero tanti, con un altro sistema di finestre internazionali e qualificazioni europee e mondiali aperte a tutti. Un Europeo, per esempio, non esiste e forse non è mai esistito, se è vero che quello vinto a Grenoble dagli azzurri non comprendeva le britanniche, e che ora si gioca tra le nazionali di secondo livello.

Il problema è che a rugby le differenze si sentono tanto.

Tantissimo: è professionale in poche nazioni e in modo diverso; in espansione negli Stati Uniti, consolidato in Giappone e Argentina, eppure indietro in regioni solitamente all’avanguardia nello sport come la penisola iberica. O l’India e la Cina: a loro modo le migliori nei loro sport di riferimento, ancora arretrate quando si tratta di mischie, touche e ruck.

L’attuale sistema di tornei, per garantire al pubblico sfide di alto livello e non una sfilza di 200 e 300-0, impedisce i Germania-San Marino. Lo fa sia perché sarebbe inutile, per i professionisti francesi e italiani, affrontare dilettanti e amatori, sia per l’incolumità fisica dei giocatori.

Eppure, tra un tier e l’altro, la pressione inizia a sentirsi: noi non siamo cresciuti quanto dovevamo (potevamo?), Romania e soprattutto Georgia si stanno facendo strada.

Le performance nell’ultima Coppa del Mondo delle nazionali attualmente escluse dai due grandi tornei di alto livello (Sei Nazioni e Championship) hanno mostrato che i margini di miglioramento ci sono tutti; servirebbero ogni anno partite contro i top, perché è prendendo gli schiaffi che prendi appunti, impari, sali di livello.

Insomma georgiani e compagnia bussano alla porta, gli Stati Uniti poco fa strizzavano l’occhio al Pro 12, per diventare un po’ “celtici” e forse un’espansione a 8 del Sei Nazioni sarebbe la soluzione ideale: gli USA come mercato, infrastrutture, numero di atleti potenzialmente “convertibili”, la Georgia come laboratorio locale ed esempio di movimento nato e progredito dal basso.

A patto di restarci noi, poi: difficilmente chi conta rinuncerà alle affluenze e gli incassi dell’Olimpico, alla pittoresca idea di una trasferta in una della città più belle del mondo, a una nazione che sta scoprendo una nuova cultura della Nazionale. Che però, a meno di istituire poco utili test match contro le Spagna o i Portogallo di turno, una svegliata se la dovrà pur dare: a partire da sabato al Franchi col Sudafrica.