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Abu Dhabi e il Tour de France, Felipe Massa e la sorte

Oggi ragioniamo per binomi: il Gran Premio del Brasile ha chiuso un’altra stagione mortifera per gli appassionati di Formula 1, e quando utilizzo l’apposito verbo chiudere non mi sono dimenticato che manca la gara di Abu Dhabi. Gli Emirati sono un bellissimo posto, ca va sans dire, ho avuto il privilegio e la fortuna di trascorrervi una settimana e meritano di essere visitati, così come ho avuto il gaudio di provare l’ebbrezza di sorseggiare un cocktail affacciato sul circuito di Yas Marina; tutto molto bello, tutto molto chic, ma il Gran Premio di Abu Dhabi resta una parata, o poco più.

L’ostinazione stucchevole con cui la federazione si ostina a piazzare negli Emirati l’ultimo palco su cui far recitare gli attori rovina il finale della commedia. Ad Abu Dhabi, a parte il suicidio Ferrari del 2010, di sorprese non ce ne sono mai state: chi arriva in testa, chiude in testa; di ribaltoni neppure l’ombra. Tutto l’opposto del Brasile, teatro di finali epici e sempre imprevedibili; Yas Marina, insomma, assomiglia molto all’ultima tappa del Tour de France: o qualcuno tra il pubblico spara a chi è in maglia gialla oppure il trionfo a Parigi è già assicurato.

Traslato il tutto in ambito motoristico, tra due settimane o Rosberg resta a piedi oppure può già mettere lo champagne in frigo: superato lo scoglio Brasile, dove ancora una volta la pioggia avrebbe potuto mischiare tutte le carte, la parata negli Emirati va solamente condotta fino alla bandiera a scacchi. Assodato il primo binomio, ecco il secondo: Felipe Massa e la sorte, più che un binomio, una coppia per la vita.

La carriera di Massa è l’emblema di come la dea bendata non lo abbia mai potuto vedere bene e non a causa della stoffa sugli occhi. Ieri ha completato l’opera o quasi: all’ultimo Gran Premio davanti ai propri tifosi, niente celebrazione dopo la bandiera a scacchi, ma un muro su cui spalmare la propria Williams. Difficile aspettarsi diversamente per uno che nel 2008 ha abbracciato il sogno di essere campione del mondo per poi vederselo strappare via a una curva dalla fine per essere consegnato a Hamilton, in una stagione in cui hanno pesato, come macigni, un tubo del rifornimento portato via a Singapore in stile corriera express e un motore in fumo a tre giri dalla vittoria in Ungheria.

A tutto ciò, come se non bastasse, Felipe è riuscito anche dell’impresa di centrare in testa una molla di carbonio saltellante, persa da Barrichello, sempre in Ungheria, a 300 km/h: roba da Calimero, scena da cartone animato, per antonomasia già di per sé poco credibile; non per lui, che ci ha rimesso il resto della stagione e due settimane in ospedale. La sorte, insomma, non è mai stata al suo fianco: chissà cosa ha in serbo per Abu Dhabi, che sarà una passerella, ma per Felipe non si può mai sapere.