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Oggi sarebbe facile incensare Siniša Mihajlović come se fosse uno dei più grandi cervelli calcistici al mondo. Dopo una vittoria larga come quella contro il Cagliari, dopo aver infilato quattordici punti in sette partite perdendo una sola di queste – peraltro a San Siro, dopo aver visto un Gallo Belotti capace di firmare otto reti in dieci uscite di campionato si potrebbe cianciare in lungo e in largo delle ambizioni granata, di come il progetto di Cairo si stia rivelando efficace, di come la rosa di quest’anno solletichi più di un palato (quelli hipster compresi) e, in definitiva, perdere il senso della misura esagerando con le lodi. Del resto, di carne al fuoco ce n’è parecchia.

Ma proviamo a disinserire la modalità “piaggeria fastidiosa” e ad analizzare invece freddamente i numeri grezzi a disposizione. Il Torino è al momento settimo – mancano ancora tutte le partite di oggi all’appello – e ha due soli punti meno del Napoli e tre meno del Milan, per ora terzo. La difesa non è proprio a tenuta stagna (14esima di Serie A, con 16 reti incassate fin qui) ma là davanti si sta facendo qualcosa di speciale perché 27 gol nelle prime 12 giornate danno il titolo di “miglior attacco del campionato” proprio al Torino.

Non ci voleva un genio per capire che il tridente Ljajić-Belotti-Falque avesse discrete potenzialità ma che tra tutti e tre si potessero contare 18 gol già all’alba di novembre era senza dubbio fantascienza umida anche per gli stessi giocatori, non parliamo nemmeno di Cairo e Mihajlović. Mihajlović che, dal canto suo, ha probabilmente abbozzato nella sua mente l’undici titolare solo da relativamente poco tempo. Del resto, ricordiamo i tentativi poco fruttuosi (e si capisce anche perché) di proporre contemporaneamente Acquah e Obi, un paio di volte addirittura con Vives a giostrare tra di loro per abbassare ulteriormente le capacità d verticalizzare e ripararsi totalmente dallo spiacevole rischio di veder arrivare il pallone alle punte.

Battute a parte, le varie partite hanno dimostrato che almeno uno tra Baselli e Benassi è fondamentale per gli equilibri granata e che Valdifiori è diventato sostanzialmente irrinunciabile fin dalle sue primissime uscite. Ai progressi del tecnico serbo possiamo poi aggiungere anche il rendimento interessante avuto da Boyé (che ha dimostrato di non necessitare di troppo tempo per inserirsi), alla crescita enorme di Barreca arrivata proprio nel momento del bisogno – con Avelar e Molinaro persi più o meno fino a data da destinarsi – e la costituzione della coppia Rossettini-Castán, solida e affidabile. Persino il gordito Maxi López, nonostante i problemi di peso, ha dimostrato di possedere ancora qualche discreto lampo di classe nascosto nel panciotto.

La morale qual è, allora? Una sola, molto semplice. La profondità di rosa, il livello di gioco espresso, le individualità e l’impronta che Mihajlović sta dando alla squadra parlano di un Torino che se la giocherà fino alla fine per un posto in Europa League, salvo ovviamente auto-sabotaggi dal più sfrenato gusto masochista. La squadra è costruita bene, con tutti gli elementi al posto giusto e può anzi concedersi il lusso di applicare qualche variazione sul tema cambiando solo un paio di uomini; Mihajlović ha in pugno situazione e spogliatoio; Ljajić e Falque stanno andando decisamente bene mentre Belotti sta diventando il miglior centravanti azzurrabile in assoluto. Non manca nulla e non ci sono scuse: un Toro che dovesse terminare il campionato oltre l’ottava piazza avrebbe probabilmente sprecato una buona occasione di tornare in quell’Europa che, con qualche tocco granata, risulta subito più romantica.