Alla fine è stato proprio Gonzalo Higuaín a decidere Juventus-Napoli col più classico dei gol dell’ex. Il Pipita ha giustiziato Reina approfittando del regalo inatteso di Allan, che non l’ha seguito in marcatura come avrebbe dovuto. Quindi, segnando il gol decisivo del big match ed essendo noti tutti i discorsi sul suo passaggio dagli Azzurri alla Vecchia Signora, la copertina della partita se l’è presa ovviamente lui. Proprio lui, appunto.
Al di là delle considerazioni che fioriranno inevitabilmente sull’importanza soprattutto simbolica della rete, delle riaperture delle ferite estive dei partenopei e degli sgodazzamenti vari di parte bianconera, la partita di ieri sera sta già venendo presa come una sorta di manifesto del differente utilizzo che Allegri fa di Higuaín rispetto a quello di Sarri, spesso sottintendendo che il giocatore non viene valorizzato a sufficienza nel suo nuovo contesto bianconero.
La più evidente e palese differenza è che il Pipita non è l’astro del mattino e della sera, alla Juventus. Al Napoli era il motore immobile attorno al quale tutto girava, quasi l’alfa e l’omega della manovra partenopea, l’uomo per cui i compagni giocavano, il primo finalizzatore e spesso (quando non addirittura l’ispiratore) un attore protagonista della manovra offensiva. A Torino Higuaín non è uno dei tanti, sarebbe più che esagerato, però non è centrale nella creazione di gioco così come lo era la scorsa stagione.
Sarebbe però scorretto dire che viene cercato meno: facendo un confronto tra la sfida di ieri sera e quella – tra le medesime squadre col Pipita dall’altro lato della barricata – dello scorso anno al San Paolo, risulta immediatamente evidente che non è vero. Tutt’al più, considerando appunto la sua centralità assoluta nel gioco di Sarri e, invece, il suo essere “semplicemente” il realizzatore di punta della Juventus, si può forse azzardare che un anno fa veniva probabilmente servito meglio, tendenzialmente più in verticale e più rapidamente, perché era più importante che il pallone gli arrivasse il prima possibile nell’ottica di creare un pericolo agli avversari.
Sotto la gestione Allegri, invece, i suggerimenti arrivano con un ritmo spesso più compassato, più consono allo stile da panzer dei bianconeri che non alla verticalità blitzkrieg del Napoli. La Juventus non ha il respiro verticale dei rivali campani né la loro identità di gioco così precisa, dunque è perfettamente logica la metamorfosi del centravanti argentino che, però, pare più formale che essenziale. Anche perché va sempre considerato il suo essere un giocatore meta-sistemico, cioè la sua capacità – al massimo della forma – di essere perfettamente in grado di trascendere qualsiasi tipo di organizzazione tattica e trasformarsi in un juggernaut semi-onnipotente che i gol se li crea come re Mida trasformava in oro il metallo vile.
Ieri sera, di fatto, la partita è stata risolta proprio da un Momento Higuaín™, col Pipita che finalizza la stessa azione che inizia, cosa che a Napoli era ben più incoraggiata che non alla Juventus perché, alle dipendenze di Allegri, di giocatori allo stesso livello del 9 ce ne sono più di quanti non ne avesse allora a disposizione Sarri. E non pochi. Non è una differenza trascurabile, specie considerando che, infortunio a parte, l’ex Real Madrid normalmente condivide il proscenio con Paulo Dybala, un altro pezzo da novanta.
Dunque ha poco senso spaccarsi la testa per capire se Higuaín viene usato male da Allegri o addirittura trascurato nei piani di gioco bianconeri: non è così, è solo cambiato il contesto in cui è immerso e il suo peso specifico all’interno dell’organizzazione di gioco. La rosa è di valore complessivo più alto, rispetto a quella in cui era dodici mesi fa; la Vecchia Signora ha delle logiche di gioco molto diverse e un attacco fondamentalmente nuovo (l’avvento di Sarri ha fatto deflagrare le qualità di un reparto avanzato che era al terzo anno di lavoro insieme, Higuaín è al secondo mese di gioco con la Juventus e al terzo in totale e né Dybala né Mandžukić sono veterani del club). E non bisogna dimenticare, per finire, che il rendimento ultraterreno che il centravanti ha avuto lo scorso anno è francamente irripetibile, a prescindere dal contesto.
Le partite con Milan e Siviglia, tendenzialmente prese come esempio di un cattivo sfruttamento della sua presenza in campo, rappresentano solo esempi di partite in cui Higuaín non riesce fisiologicamente a graffiare (e se con gli spagnoli quel pallone lì fosse entrato in rete invece che sbattere sulla traversa non se ne parlerebbe nemmeno) perché, guarda un po’, è umano anche lui – così come lo sono i compagni, che magari non riescono a servirlo bene anche se lo vogliono, non è che lo ignorano volontariamente.
Alla fin della fiera, può quindi essere che sia la percezione che abbiamo noi di Higuaín sia mutata, del resto un anno da 36 gol in Serie A e relativi record non può non lasciare tracce. La verità è che ormai non ci aspettiamo più singoli episodi di assoluta tracotanza calcistica ma un’onnipotenza più o meno continua, soprattutto considerando che il giocatore più forte del campionato è andato nella squadra più forte. Pertanto i gol del Pipita sembreranno per forza sempre meno di quanti ne aspetteremmo, il suo coinvolgimento nel gioco troppo scarso rispetto a quel che prediremmo, gli assist dei compagni gioco forza meno di quanti auspicheremmo. Inoltre, dando per scontato che è fortissimo, si tenderà a gettare la croce sui compagni o sull’allenatore perché, nella nostra mente, daremo per scontato che non può essere l’argentino la causa di un eventuale digiuno prolungato.
Ma siamo sicuri che sia giusto?