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ESCLUSIVA MP – Rugby League, Orazio D’Arro: “Non ho sogni ma obiettivi. Ciraldo? Allenatore fantastico”

Alla vigilia di Italia-Galles, che vale l’accesso diretto alla Rugby League World Cup 2017 (in Australia, Nuova Zelanda e Papua Nuova Guinea), incontriamo il presidente della FIRL Orazio D’Arro allo Stadio Brianteo di Monza.

Sullo sfondo, un gruppo di giocatori che si allena in vista del test di domani, ma anche sogni e possibilità di un’Italia che punta in alto.

Anche se il n. 1 federale ci tiene a dire che i suoi non sono sogni ma obiettivi per cui programmare e lavorare. Programmi sul breve e lungo termine, gruppo eterogeneo, collaboratori instancabili ma anche lo sguardo di qui a 10 anni: puntare al meglio e arrivarci, pianificando e con la politica dei passi piccoli ma concreti.

Buongiorno Orazio. Parlaci un po’ di te: cosa fai nella vita? Che professione svolgi?

A livello lavorativo, sono il direttore di diverse ditte. Innovare, una ditta di costruzione, Arquis che fa sviluppo proprietà.

Hai giocato a rugby league?

Iniziai a giocare a rugby league quando avevo 5 anni, a Brisbane. Poi in tante squadre rappresentative, anche a scuola. Giocavo a scuola a XV e la domenica a XIII. Tra rugby union e rugby league, ho giocato con Souths Magpies, Easts Tigers, North Devils, oltre a West Bulldogs e Norths In Australia capita spesso che bambini e adulti pratichino entrambi i codici. Ho un bimbo di 3 anni e va sempre in giro con la palla da rugby…Tornando a me, ho giocato a Calvisano un anno a rugby union. Ho fatto anche league in Francia col Saint-Cyprien (Perpignan). Soprattutto, ho avuto l’onore di capitanare la prima nazionale italiana: ero l’unico italiano proveniente dall’Australia, tutti gli altri provenivano da San Benedetto del Tronto e Padova, inclusi i gemelli Tiziano e Simone Franchini. Ho indossato la casacca azzurra tra dal 1994 sino al 2001 ed è sempre una fortissima emozione. 

Nome e cognome italiani. Senti forte il legame con l’Italia?

I miei genitori sono di Calatabiano (Catania), sono emigrati nel 1959-60. Sono un italiano che è nato a Brisbane. I miei mantenuto molto il legame con la cultura italiana, anche mia moglie Chiara è italiana, originaria di Napoli. Siamo stati fortunati, non erano anni facili in Italia e sono andati in una terra che dava e dà opportunità; ma hanno mantenuto salda la tradizione di casa.

Da quanto tempo sei impegnato a livello dirigenziale con la FIRL? Qual è il tuo progetto nel rugby league?

Da gennaio 2013. La FIRL mi chiamò, per coinvolgermi anche per via della mia esperienza di business. Sono uno che sa incoraggiare le persone a essere positive; ho esperienza da manager e so mettere insieme le persone. Ti dico la verità: sono italiano e ho la mentalità italiana, ma ho preso dall’Australia un certo modo di fare, immaginare, pensare e progettare cose. L’obiettivo della federazione metter su un business plan senza metter su debiti, coinvolgere persone nuove e dinamiche, essere aperti. Spingere il rugby league e promuoverlo ancora di più.

Come mai l’uso di heritage players desta più scalpore da parte dell’Italia e non da parte di
altre nazionali?

Non so il motivo. Forse è come paura, gelosia, o semplicemente i nostri giocatori professionisti sono proprio forti. Il mio e nostro obiettivo è far crescere pian piano i giocatori locali e usare gli italo-australiani, che considero italiani a tutti gli effetti, per guidarli, per essere leader e affrontare le partite dove il livello sale di più. Il contatto con questi giocatori può spingere i nostri ragazzi a migliorarsi e mettersi in gioco: un esempio è quello di Gioele Celerino, che è cambiato tantissimo grazie all’opportunità che gli abbiamo dato. L’obiettivo sul lungo termine è avere una squadra composta completamente da giocatori locali, ma non può avvenire subito e poi bisogna avere attenzione coi giocatori. Penso all’infortunio di Cameron Ciraldo dopo un placcaggio subito contro Tonga…E dire che lui da professionista era molto allenato. Se mettiamo in campo contro giocatori di alto livello, soprattutto sul piano fisico, giocatori che non capiscono il gioco e che non hanno il fisico adatto, diventa pericoloso. Ma piano piano, ogni anno, portiamo avanti i giocatori e li facciamo crescere. Tutti credono che abbiamo due squadre, ma ne abbiamo una e questa è la verità: sono tutti italiani.

Ti senti italiano, australiano o entrambe le cose?

Mi sento italiano, sono italiano. Ma vivo dentro la cultura australiana, che è cultura che spinge verso il nuovo, che si rinnova. Come quella italiana, e questo è il bello.

FIRL e FIRLA: che scopi hanno e come collaborano?

La FIRL è la Federazione Italiana Rugby League, ha un board che è molto trasparente, aperto. Poi in Australia opera anche la FIRLA, il cui scopo è allenare i giocatori di origine italiana, allenarli, farli rientrare in contatto con la cultura e l’identità del paese d’origine della loro famiglia. Le squadre FIRLA non giocano come una nazionale, ma come una squadra heritage, a livello rappresentativo, giovanile ecc. Indossano una maglia azzurra, con uno stemma che riporta la bandiera australiana e quella italiana: è bello tutte le volte che ti chiedono dell’Italia, ricostruiscono legami. Non è solo rugby, è cultura.

Rapporti col rugby union. Come potete “collaborare”?

All’estero, il rapporto è fantastico. In Australia, ma anche in Nuova Zelanda come in Inghilterra stessa, dove spesso gli allenatori passano da un codice all’altro e in particolare parecchi club di rugby union ingaggiano allenatori provenienti dal nostro sport. Uno sport dà all’altro sistemi, processi, tecnici ecc. In Italia è un po’ diverso. La FIR deve cambiare un po’ di mentalità, essere un po’ più moderno, lavorare insieme alla FIRL. Abbiamo parecchi giocatori forti, di livello, con passaporto italiano, che un domani chissà, potrebbero giocare a XV ed essere utile.
Il rugby non deve aver paura del rugby league, sono quasi lo stesso sport; vero che non abbiamo la mischia, ma i nostri giocatori hanno un sacco di skill, tecniche. Per dire, mio figlio Rocco che ha 10 anni gioca a rugby e rugby league. E sta diventando un miglior giocatore di union grazie a ciò che impara giocando a 13.

Tra i giocatori a disposizione di coach Ciraldo, sicuramente Mirco Bergamasco è il più noto al pubblico italiano.

Non è il nostro primo dual international, il primo fu Orazio Arancio, che giocò con me nel 1996 alle Figi, nel torneo della Super League. Mirco s’è trovato benissimo con i giocatori, siamo un gruppo molto unito, tutti positivi nell’atteggiamento. Chiaro che il league rispetto all’union è molto veloce, ma lo hanno aiutato i compagni e ho visto in lui un’ottima. Vorrei che la gente capisse che il rugby league è uno sport universale, per tutti; in inglese dicono per “the working men”. Mirco si è trovato bene, ha delle belle mani; mi auguro che sia il primo di tanti italiani anche professionisti che vengono a provare il rugby a 13.

Dove vedi il rugby league italiano tra 10 anni?

Il mio sogno,  ma è meglio dire un obiettivo in cui credo tantissimo è avere in 10 anni un campionato di livello alto e che dura tutto l’anno. Avere una nazionale stabilmente una nazionale tra le prime otto del mondo, poi un campionato composto da squadre di tutta Italia, dalla Sicilia alle Alpi. Per esempio, sono molto orgoglioso che ora una squadra di Cuneo vada a giocare nelle leghe francesi: crescerà tantissimo e trainerà tutto il movimento. Sul lungo periodo, vorrei una squadra italiana in Super League, come hanno fatto i francesi coi Catalan Dragons.
Nel breve termine, diventeremo Full Member della Rugby League International Federation; poi verrà per il nostro sport il riconoscimento di Sport Accord (associazione no-profit che raggruppa le federazioni sportive internazionali, ndr). Con in mano questi riconoscimenti, andremo a presentarci al CONI, forti anche dell’accordo con Italia Touch e della crescita conseguente del numero di club.

Veniamo alla partita che vale l’accesso ai Mondiali. Sei tranquillo?

Io sono tranquillo, il Galles è ovviamente la squadra favorita. È una squadra molto forte, per noi è una grande opportunità, per promuovere e spingere rugby league. Ai ragazzi ho promesso, se ci qualifichiamo, di portare in Australia due squadre: quella che farà la Coppa del Mondo e un’altra squadra per fare un tour, affrontare magari i Latin Heat e le altre nazionali che non si sono qualificate. Parlo di Serbia, Malta; sarebbe bello fare una piccola International Cup. Ne ho parlato pure col board della RLIF e per ora non ci sono i soldi, ma non mi arrendo e spingerò molto per questo obiettivo. Questa RLWC in Australia è una grande opportunità, per tutti i 48 (24 e altri 24 tutti espressione del campionato italiano) giocatori, per crescere e poi toccare con mano cosa significa essere italiani in Australia.

Rispetto al 2013, mancano diversi top player come Anthony Minichiello. La squadra è peggiorata?

No, non direi. Sì, abbiamo perso grandissimi giocatori, ma ce ne sono altri e tutti di alto livello. Inoltre, diverse giocatori della NRL e della Super League – penso a Guerra, Tedesco, Brown, Vaughan e altri – mi hanno detto che ci tengono tantissimo a giocare per l’Italia e che saranno a disposizione. Mark Minichiello sono stato io in primis a non pretendere giocasse, perché tra campionato inglese e Challenge Cup ha giocato tantissime partite e ha avuto una stagione davvero pesante. È un peccato che Mantellato si sia infortunato.

Veniamo alla scelta di Ciraldo.

Siamo un gruppo di persone tranquille, che creano entusiasmo. Tutti abbiamo l’obiettivo di sviluppare il rugby league nel nostro paese; non siamo un gruppo di primedonne. Se la FIRL vuole andare avanti, deve continuare con lui, perché è davvero un fantastico allenatore. Ha fatto due finali, poi allena a livello rappresentativo: avere Cameron come allenatore è come avere Buffon nel calcio! Sono molto contento di lui. Infine, voglio spendere due parole per il nostro Reno Santaguida, che da anni fa tantissimo per aiutare la federazione e il movimento, coinvolge persone, fa gruppo: è una persona molto positiva, un gran lavoratore. Siamo fortunati ad avere lui e tanti altri collaboratori che non si risparmiano e lavorano verso un unico obiettivo.