Troppa Europa?
A chi segue la pallacanestro, ma non è abituato a bazzicare ogni giorno tra i siti specializzati, deve essere venuto un gran mal di testa.
Sono iniziate le coppe europee ed è una bellezza: scuole cestistiche che si confrontano, la palla a spicchi che si espande e conquista territori, uno sport sempre più internazionale ben oltre le competizioni estive.
Ogni squadra di alto livello che si rispetti, ora come ora, gioca anche in settimana. Non parlo solo dell’EA7 Milano, a suo agio quest’anno più che mai in un’Eurolega versione campionato delle big continentali, ma anche delle altre. Trasferte, viaggi, pullman, aerei e comitive; poi accoglienza ai tifosi ospiti, iniziative più o meno originali per aiutare il turismo e dare lustro alla cultura locale. Celebrare il passato ora che il presente è davvero grande: penso alla divisa retrò della Dinamo Sassari, che strizza l’occhio agli anni del Banco, che giocava tra B1 e A2 eppure riempiva spesso il palazzo.
Tutte cose belle, valide e degne di nota. Peccato però che manchi la chiarezza, da parte di chi gestisce gli enti sportivi, i consorzi, le associazioni. La lotta tra FIBA ed Eurolega ha partorito un mostro a quattro teste: quest’anno in Europa ci giocano proprio tutti. Anche chi, magari, avrebbe preferito giocare solo in campionato e concentrarsi sulla lotta salvezza. O sulla lotta playoff: la piccola Europa può diventare anche pesante, se le cose non girano bene al sabato e alla domenica.
Dunque, ricapitolando: Euroleague, Eurocup, Champions League e FIBA Europe Cup. Le prime due partono da marchi consolidati, che si sono fatti un nome di eccellenza (Eurolega) e/o di continuità (Eurocup, la coppa delle squadre concrete, di chi è ancora squadra e non franchigia stile NBA).
La guerra della scorsa estate, battaglia portata avanti a suon di decreti, proclami e minacce, ha fatto vittime: c’è chi è retrocesso in una competizione apparentemente di primo livello eppure nuova, che lascia perplessi.
La Champions League: nome altisonante, che strizza l’occhio al torneo sportivo internazionale per club più famoso del globo, ma della coppa dalle grandi orecchie ha per ora solo il nome. Né è stata operazione indolore, di puro travaso della denominazione come accadde per il passaggio tra Heineken Cup e Champions Cup nel rugby: qua cambiano natura e status della competizione. Che fa concorrenza a un’Eurolega progetto forte e indipendente; è altro ma vorrebbe essere la stessa cosa: ci faranno ricredere ci hanno detto. Vedremo.
In tutto ciò, ci metto anche la FIBA Europe Cup. Se la sigla della International Basketball Federation dà prestigio a una coppa che non vuole essere coppetta, per l’appassionato neutrale diventa interessante solo nelle fasi finali. Quando i club forti espressioni di movimenti competitivi mettono su un’élite e giocano per il bersaglio pesante: ma ancora non ci siamo, non me ne vogliano i tifosi di Varese, ko solo in una finalissima a Chalon-sur-Saône la scorsa stagione.
La sola speranza, l’unico appiglio che però può diventare occasione di conoscenza, è prendere le competizioni FIBA come una scoperta. Come il viaggio verso la pallacanestro che allarga sé stessa e i suoi confini, cresce ovunque. Il confronto tra federazioni e movimenti che progrediscono giorno dopo giorno; tra la nostra medio-bassa classifica e Francia, Germania e Grecia. Fare il tagliando al basket del Vecchio Continente, in attesa che il livello salga nelle fasi successive.
Sempre però con quella sensazione lì, che manchi la chiarezza: ogni anno cambi meccanismi, nomi, formati e metodi di qualificazione. La gente si stanca e rimane disorientata: arrivederci al prossimo anno e alle prossime riforme delle coppe europee.
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— #BasketballCL (@BasketballCL) October 20, 2016