Ranocchia e Bonucci: percorso al contrario
Alt. Fermi tutti. Quando è troppo è troppo. Ieri mattina, sul Corriere della Sera, è uscita un’intervista interessante, e un po’ preoccupante, rilasciata da un calciatore di Serie A. L’argomento principe, però, non era il pallone. A parlare è Andrea Ranocchia, difensore 28enne dell’Inter, salito ultimamente alla ribalta più per demeriti sportivi che per altro.
Spesso criticato, l’ex centrale azzurro ha già alle spalle un futuro mancato. A inizio carriera, a Bari, era uno dei calciatori più interessanti della Serie A. Prima con Conte e poi con Ventura, Andrea era esploso in Puglia diventando un pilastro dei Galletti. Da lì, la mezza stagione con il Genoa e poi l’approdo a Milano in uno dei momenti più delicati della storia del club meneghino.
“Sembra che all’Inter non abbia vinto solo io. Ma il periodo negativo non è stato tutto e solo mio. È stato dell’Inter. In sei anni avrò visto passare un centinaio di giocatori. Oltre a tre presidenti e proprietari. Ma tutto questo cambierà. Da tre mesi vado in un centro in cui mi seguono dal punto di vista fisico e psicologico. È lì che tiro di boxe, per esempio. E poi c’è una persona con cui parlo. Non è uno psicologo. È laureato in Fisioterapia ma è anche esperto dimental training. Parlare con lui mi è servito a capire che quasi niente nella vita è irrimediabile”.
Uno psicologo che aiuta un ragazzo in difficoltà. Giocare a pallone al giorno d’oggi non è facile, rischi di finire sbranato al primo errore. I social network danno fiato alla bocca di chiunque e se non hai la giusta consapevolezza nei tuoi mezzi il passaggio da fenomeno a brocco è più veloce di un click. Ranocchia non assomiglia da tempo a quel difensore visto a Bari. A Milano, forse, non l’hanno mai visto e dopo errori grossolani, poca grinta e un po’ di timidezza con la fascia da capitano al braccio, i tifosi nerazzurri hanno deciso di sparare a zero su di lui. Un po’ il capro espiatorio.
Aggrapparsi a una figura amica è una scelta intelligente. Aggrapparcisi ora decisamente meno. È curioso come il suo compagno di reparto in biancorosso abbia fatto più o meno la stessa cosa con risultati totalmente opposti. Leonardo Bonucci era il centrale scarso, quello che faceva bella figura di fianco ad Andrea. Arrivato alla Juventus, gli inizi sono stati drammatici: svirgolate e lisci erano all’ordine del giorno. In più i bianconeri erano la barzelletta d’Italia, quelli dal passato immenso e dal futuro incerto. Ma Leo ha reagito subito e grazie ad Alberto Ferrarini, un “motivatore”, è riuscito a emergere insieme a tutta la sua squadra.
Essendo uno sport collettivo, è logico che non c’entra solo quanto e come ti applichi tu. Ma se in breve tempo diventi un punto di riferimento per allenatore, compagni e tifosi significa che di tuo sei sulla strada giusta. E Bonucci lo è. È migliorato spaventosamente anche grazie a quei pugni che Ferrarini gli tirava in cantina per vincere il giudizio, per tenerlo sempre sul pezzo. Quello stesso pezzo che ancora tiene oggi tra i denti, partita per partita. E quello stesso pezzo che anche Ranocchia vorrebbe assaggiare un giorno.
Fonti: Corriere.it