Non è mai facile, in Italia, parlare di Zdeněk Zeman. Lo abbiamo scritto più volte: non si può citare il boemo su un articolo, in una discussione davanti al bancone del bar, o in una pausa del lavoro, senza prendere una posizione netta. Pro o contro: non ci sono mezze misure.
La Svizzera è storicamente un Paese neutrale, come sappiamo. Ma anche qua, quando si è parlato del controverso tecnico italiano, l’equidistanza è andata a farsi benedire, si trattasse di semplici tifosi, o di addetti ai lavori con lustri di esperienza alle spalle. Persino nel paese elvetico, quindi, è stato difficile dire (e scrivere) “Si, però…”
Al di là delle battute, leggendo qua e là su siti e forum di fans del boemo, sparsi un po’ in tutta la Penisola, abbiamo visto che erano in molti, invece, ad augurare un’annata catastrofica ai ticinesi, colpevoli di “non aver compreso sino in fondo” il genio calcistico del boemo, la sua filosofia di gioco e di preparazione dei giocatori. In Ticino, invece, c’è stato un atteggiamento differente. Non ci ha stupito, personalmente, perché abbiamo una buona esperienza di cose rossocrociate, maturata in ambiti diversi da quello sportivo. Però, crediamo sia giusto condividere, coi nostri lettori, l’aria che si respira in riva al Ceresio, da dopo l’addio di Zeman al calcio svizzero, e al Lugano in particolare.
L’esperienza del boemo sulla panchina della squadra ticinese è stata, senza dubbio, controversa (ma avrebbe potuto essere altrimenti, visto il personaggio?). Tuttavia, nessuno ha mai messo in dubbio due elementi. I risultati ottenuti, innanzitutto (salvezza e finale di Coppa svizzera) e un gioco che, seppure senza continuità, in alcuni momenti aveva stupito anche i commentatori di oltre Gottardo, mai ben disposti nel riconoscere i meriti di squadre esterne alla Svizzera tedesca. Certo, ci sono state anche ombre (a caldo ne avevamo scritto). Di sicuro, comunque, è stato l’allenatore a scegliere di non proseguire il proprio impegno in Ticino. A lui, poi, non avevamo lesinato critiche per un atteggiamento forse un po’ troppo sarcastico, nelle settimane successive alla chiusura del suo rapporto con i bianconeri.
Ma oggi? Sappiamo come vanno certe cose nella Penisola: alla partenza dell’allenatore, normalmente, si scoperchia il vaso di Pandora di aneddoti e comportamenti negativi, o giudicati tali. In Ticino, invece, anche i giocatori con i quali il boemo ha avuto qualche screzio, non si sono mai lasciati andare a lamentele pubbliche troppo marcate. C’è, anzi, un diffuso spirito di riconoscenza nei confronti del tecnico, quasi unanime. Ovviamente, il gruppo ha preso atto (manifestandolo con piacere) di un nuovo rapporto tecnico-giocatori, e di sistemi di allenamento differenti, e meno esasperati.
Quando si parla dell’anno scorso, tutti (soprattutto i tifosi) sono però concordi a dire che sono stati ottenuti dei buoni risultati, e che il boemo ci ha messo del suo. E questo lo affermano sostenitori e detrattori. I primi, ovviamente, avrebbero voluto vedere cosa avrebbe fatto Zeman con questi elementi (così come i secondi): naturalmente, arrivando a conclusioni opposte.
Tutti però (e qua sta il bello, a nostro modo di vedere) sono d’accordo a parlare di eredità lasciata da Zeman a Lugano. La cultura del lavoro, innanzitutto. Gruppo, crescita, allenamento sono il mantra di rosa, dirigenza e staff tecnico. Lo schema di gioco dei bianconeri resta il 4-3-3; semplicemente, i giocatori si sentono forse meno costretti in gabbie tattiche troppo rigide; buttano (magari) qualche pallone di più in tribuna, se lo ritengono necessario. Però, c’è sempre l’idea di giocare la palla, di costruire, e di ripartire.
L’altra, grande eredità è Alioski, arrivato qua come terzino di fascia dallo Sciaffusa (quindi, dalla cadetteria), reinventato attaccante esterno dal boemo, e attuale capocannoniere del torneo, davanti anche a nomi importanti che militano in Super League. Potrebbe partire, nel mercato invernale: ma, nel frattempo, si sta riprendendo dall’infortunio al ginocchio Čulina, altro elemento valorizzato dal boemo.
In conclusione, il Lugano ha voltato pagina. Però, dell’esperienza passata, fatta di luci e ombre, si è tenuto il buono. E, fermi restando i meriti di chi sta lavorando adesso, dei nuovi innesti di buona qualità, di uno staff tecnico serio e competente, e di una dirigenza che tiene insieme tutto quanto, con passione ed entusiasmo, non ci si dimentica delle cose buone dell’anno scorso, e dei frutti che sono germogliati quest’anno. Rimanendo, quindi, nell’ambito calcistico, al di là, quindi, delle polemiche, che ci sono anche in Ticino, crediamo sia un bel segnale di cultura sportiva. E, perché no, un esempio da seguire anche nella Penisola.