Editoriali

Sport e notizie: la mai innocua priorità

È un mondo strano, in chiave non solo sportiva, quello che ci troviamo a vivere: pieno zeppo di parole, esternazioni, ostentazioni urlate d’indignazione, contro-risposte altrettanto indignate, il tutto condotto dall’immancabile lubrificante del benaltrismo, quel jolly argomentativo sempre vincente per cui, dinanzi a qualsiasi rilievo si possa avanzare o pensare, rispondere che ci sarebbe ben altro di cui occuparsi equivale automaticamente al dare scacco matto. Un mondo che procede a velocità supersonica, e in cui la scelta delle notizie (mestiere complicatissimo e altamente capzioso) diventa assai più importante dal modo di porgere le medesime. Forse, la cosa più importante, in un sistema che pare aver bandito la riflessione, in cui la lettura dei quotidiani corrisponde quasi sempre allo scorrere i titoli credendo di aver appreso qualcosa (per poi commentare, intasando a dismisura il tritacarne dei social media).

La settimana che ci siamo lasciati alle spalle è stata, in questo senso, tanto variegata quanto istruttiva: tutti a gettarsi, infatti, sul caso dell’ultimo martire immolato sulla tavola dell’oracolare altare consacrato al senso comune, Paolo Di Canio, ex calciatore di arcinote simpatie politiche destrorse (innumerevoli i saluti romani rivolti alla curva della Lazio, sua squadra del cuore), “esonerato” dal ruolo di commentatore per Sky Sport (inclusa la cancellazione del programma Di Canio Premier Show, dedicato al calcio inglese) a causa di un… tatuaggio. Sì, perché è evidente come il nocciolo della questione non possa in nessun modo vertere sulle convinzioni politiche dell’ex ala destra borgatara, ancorché discutibili ma, comunque, non illegali: il reato previsto da una norma transitoria della Costituzione italiana (la legge Scelba, del 20 giugno 1952) colpisce l’apologia di fascismo secondo un’articolata serie di casistiche, ma non il considerarsi seguaci o eredi dell’esperienza mussoliniana. Anche perché, lo ribadiamo, Di Canio mai ha celato certe sue inclinazioni, parlandone pure in un libro (l’autobiografia pubblicata prima in inglese, circa quindici anni fa) che ci stupì perché non corrispondente al consueto modello d’inerte instant book comune a certe pubblicazioni. L’essere apparso in video vestendo una polo che lasciava scoperto un tatuaggio sul braccio recante la scritta DUX è stata, dunque, la scintilla che ha dato via al caso, con proteste da più parti, millantante disdette d’abbonamento a Sky e la dirigenza di rete che ha proceduto con l’allontanamento del commentatore.
Il tutto ci suggerisce alcune considerazioni più o meno serie che vorremmo condividere: ma qualcuno davvero osserva scientemente il contenuto d’un tatuaggio nel corso di un commento sportivo? Il licenziamento è per cause politiche o estetiche? (Nel secondo caso, capiremmo). Chi ha girato e messo in onda il programma non ha nessuna responsabilità in merito? Non poteva chiedere a Di Canio di presentarsi in giacca, come avviene regolarmente su qualsiasi canale televisivo, foss’anche il più scrauso?
Niente da fare: via, dunque, con Di Canio nuovo martire del pensiero (come Giordano Bruno, il filosofo, non l’ex punta di Lazio e Napoli) e nuova stura per attacchi al politically correct di chi non riesce a capire la differenza tra parole come migranteclandestino (esiste, credeteci). Chi ci guadagna davvero?
Di certo, SKY fa una figura assai barbina e conferma che, al mercato, niente importa dei contenuti in sé, quanto delle forme atte a vendere, ma questo è davvero un discorso molto più complicato.

Silenzio (quasi) assoluto, almeno sotto il profilo dei commenti (sempre autorevoli) e del rimbalzo sulle prime pagine (vogliamo mettere la panzetta di Higuain?), circa la notizia sul sistema di coperture rispetto a casi di doping da parte dello sport statunitense in occasione delle recenti Olimpiadi brasiliane. Alcuni hacker hanno infatti bucato il sistema della WADA entrando in possesso di documenti scottanti che proverebbero la positività (tenuta opportunamente nascosta) di alcuni atleti stelle e strisce, tra cui la ginnasta pluriolimpionica (quattro ori) Simone Biles, le sorelle Wiiliams, la cestista Elena Delle Donne, non propriamente delle carneadi. Comica, per non dire patetica, la strategia difensiva di marca USA: in primis, perché se dispensare alcuni sportivi dal divieto di assumere alcune sostanze fosse davvero “normale” non si vedrebbe il motivo di tenere segreta tale misura, ma, soprattutto, perché immediata è stata l’accusa “ai russi”, da parte di chi, pur incapace di preservare i propri sistemi informativi, è in grado di risalire alla matrice nazionale dell’attacco subito.
Di tutto ciò, poco o nulla sui giornali italiani e poco male se le articolesse su medagliere e sistemi sportivi rischino davvero di essere aria fritta.

Chiudiamo con la citazione di un caso “minore”, ma che ci ha colpito positivamente: sabato pomeriggio, Perugia-Ternana, Serie B, accesissimo derby umbro, stava consumandosi nella consueta tensione di certe contese, con calciatori nervosi e ultrà non da meno. Sul finire del secondo tempo, nel settore distinti del Curi, una persona ha subito un arresto cardiaco, rendendo necessario il tentativo (purtroppo fallito) di rianimazione. Ne è seguito uno scenario surreale: i tifosi, uniti a prescindere dai colori, hanno invocato la fine della partita, il gioco è stato sospeso e, quando l’arbitro Davide Ghersini di Genova ha fatto riprendere l’incontro, le squadre hanno lasciato scorrere il cronometro, di fatto congelando il risultato sull’1-1. Difficile giocare di fronte alla morte.
Ricordando le imprese, anche a distanza di anni, di altre tifoserie (il derby di Roma del marzo 2004, con la falsa notizia d’un bambino deceduto a bloccare tutto è una vetta in tal senso), è impossibile non apprezzare, una volta tanto, la sensibilità dei tifosi umbri.

Notizie, come vedete, diverse, per livello, sport e ambito: lasciamo a chi legge decidere quale sarebbe dovuta essere la reale priorità.

 

Published by
Igor Vazzaz