Ci sarebbe piaciuto, subito dopo il fischio finale di Inter-Juventus, vedere i volti di chi in queste settimane aveva avuto il coraggio di prendersela con Frank de Boer, per gli scarsi risultati della sua Inter. Un allenatore, ricordiamolo, arrivato a metà agosto sulla panchina dei nerazzurri.
Due, gli apici della contestazione per il tecnico olandese: dopo il pareggio interno contro il Palermo (dopo il quale ci eravamo già esposti in sua difesa) e giovedì scorso, dopo la sconfitta in Europa League contro l’Hapoel Beer Sheva. Due partite così diverse che accomunarle per usarle nella critica al tecnico ex Ajax ci è parso veramente assurdo: se la prima era un passo falso più che normale per una squadra con un allenatore appena arrivato che sta cercando di trovare il famoso bandolo della matassa per cambiare non solo sistema di gioco, ma anche la mentalità, la seconda è stata chiaramente una sconfitta dei giocatori, scesi in campo svogliati e sufficientemente irritanti. Brozović è stato colui il quale ne ha subito le conseguenze, non convocato per la gara contro la Juve per motivi disciplinari e «perché nessuno è più grande e importante dell’Inter, il mio vuole essere un segnale» — parole di de Boer.
Beh, decisione forte, ma decisione giusta. Perché il segnale è arrivato nella testa dei giocatori e la calma con cui il tecnico olandese ha gestito il pre-partita era il chiaro sintomo del suo essere sicuro del lavoro fatto fin qui. Il tempo, il campo e il risultato gli hanno dato ragione: l’Inter tanto criticata di de Boer ha battuto la fin qui imbattibile Juventus di Allegri non solo sul piano del risultato, ma anche sul piano del gioco, dell’ardore, della mentalità. L’Inter di de Boer, piaccia o non piaccia, ha dominato i bianconeri pluricampioni d’Italia.
Questo non significa che il lavoro del tecnico olandese sia finito e che la squadra sia perfetta. Ci sono ancora un sacco di cose in cui migliorare e dove poter lavorare. Ma si iniziano a vedere i primi cambi rispetto al modo di giocare di Mancini, dall’idea di calcio proposto alla mentalità con la quale stare in campo aggredendo alti l’avversario, passando dal sistema di gioco che sembra lo stesso (il 4-2-3-1), ma che in realtà è un 4-1-4-1 con due uomini, Banega e João Mário, a cui sono state affidate le chiavi della squadra e a cui è stata lasciata la libertà di collocarsi in giro per il campo.
Ieri è andata bene e non abbiamo dubbi che ci saranno altri alti e bassi, come è normale che sia per una squadra ancora in costruzione. Ma — se davvero fosse servita — ieri de Boer ha dato una grande dimostrazione ai suoi detrattori. Per il campionato forse è presto, ma un posto tra le prime tre non è così impossibile per questa Inter.